19 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Disturbi alimentari

Obesità, da modulazione microbiota a pillole brucia-grasso. Le nuove cure

I primi importanti risultati concreti di questo sforzo di ricerca planetario si stanno cominciando a vedere, con le terapie già approdate alla pratica clinica e quelle di prossimo arrivo.

L'obesità e le malattie correlate sono al centro di una vera e propria pandemia
L'obesità e le malattie correlate sono al centro di una vera e propria pandemia Foto: Depositphotos

L'obesità e le malattie correlate (in particolare il diabete di tipo 2), sono al centro di una vera e propria pandemia, che ha risvolti umani, clinici e socio-economici enormi. È dunque imperativo trovare soluzioni terapeutiche. E i primi importanti risultati concreti di questo sforzo di ricerca planetario si stanno cominciando a vedere, con le terapie già approdate alla pratica clinica e quelle di prossimo arrivo. Ma il futuro è ancora più roseo e forse siamo ad un passo dal poter affrontare ad armi pari questo nemico così pervasivo e difficile da sconfiggere. Il congresso nazionale della Società Italiana di Medicina Interna (Simi) dedica a questo argomento una sessione dal titolo «Obesità: una nuova malattia internistica».

«La Commissione Europea - ricorda il professor Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) - ha recentemente riconosciuto che l'obesità è una malattia cronica, recidivante eprogressiva e come tale non è più soltanto un fattore di rischio per malattie cardio-metaboliche, epatiche o respiratorie. Le strategie terapeutiche basate sul cambiamento di stile vita sono state negli ultimi affiancate da farmaci efficaci e sicuri basati sugli agonisti del recettore del GLP-1 che si stanno arricchendo di nuovi poli-agonisti, che utilizzano due o tre molecole ormonali. Lo sviluppo di questi nuovi farmaci per la cura dell'obesità apre nuovi scenari non solo per il trattamento del sovrappeso, ma anche per i possibili benefici in termini di prevenzione cardiovascolare».

La carica dei nuovi farmaci contro l'obesità: ecco i farmaci di oggi e di domani che potrebbero relegare la chirurgia ai soli casi gravi. La farmacoterapia è un pilastro nella lotta all'obesità e alle sue complicanze. «Gli agonisti recettoriali del GLP-1 e i poliagonisti recettoriali, o l'associazione di alcuni di essi - spiega Paolo Sbraccia, professore ordinario di Medicina Interna nel Dipartimento di Medicina dei Sistemi dell'Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata' e direttore dell'Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Centro Medico dell'Obesità del Policlinico Tor Vergata - rappresentano al momento soluzioni farmacoterapiche molto efficaci e sicure per la perdita di peso ed il suo mantenimento.Queste nuove classi di farmaci nei soggetti con diabete riducono inoltre il rischio cardiovascolare sia indirettamente, attraverso il calo ponderale, che direttamente, attraverso effetti anti-aterogeni. I risultati dei trial in corso, disegnati per verificare se tali farmaci riducano il rischio di eventi cardiovascolari anche nei pazienti con obesità non diabetici, ci diranno se l'obesità dovrà essere inquadrata come un equivalente di malattia cardiovascolare».

Quello che stiamo vivendo è un momento magico e molto particolare nella storia del trattamento dell'obesità perché finalmente sono a disposizione farmaci molto efficaci, con un profilo di sicurezza ottimo e in grado di proteggere contro gli eventi cardiovascolari, dalla steatosi epatica, dall'infertilità, e altri ancora."L'obesità - prosegue il professor Sbraccia - è una malattia cronica, recidivante e progressiva (come stabilito anche dalla Commissione Europea) e questa accezione la colloca nel novero delle malattie curabili con i nuovi farmaci, che hanno un profilo di efficacia e sicurezza sempre maggiore. Questo naturalmente non vuol dire che l'approccio multidisciplinare, la terapia cognitivo-comportamentale e nei casi più gravi la chirurgia bariatrica, verranno spazzati via. Ma certamente il pilastro terapeutico della farmacoterapia è destinato a rinforzarsi sempre di più, mentre lo spazio della chirurgia si andrà assottigliando». Attualmente sono a disposizione farmaci già molto validi come la liraglutide a somministrazione quotidiana, che ha però un'efficacia limitata sul calo ponderale (la perdita attesa è inferiore al 10% del basale). «A breve però - anticipa il professor Sbraccia - è atteso l'arrivo della semaglutide 2,4 mg, un GLP-1 agonista a somministrazione iniettiva settimanale, che consente di perdere oltre il 15% del peso corporeo (nei trial clinici, oltre un terzo dei soggetti trattati hanno superato il 20% di perdita del peso iniziale). Sono inoltre in corso trial clinici sull'associazione semaglutide-cagrilintide (un analogo a lunga emivita dell'amilina) che consentirebbe di superare anche la soglia 20% di perdita di peso iniziale».

Si tratta insomma di risultati che cominciano a rosicchiare il campo della chirurgia bariatrica. «Su un altro fronte - prosegue il professor Sbraccia - il trial SURMOUNT-1 sulla tirzepatide (un doppio analogo GLP-1/GIP o dual agonist) a somministrazione settimanale ha mostrato dati di estremo interesse, con una metà dei pazienti trattati che superano il 25% di calo ponderale». Insomma, abbiamo di fronte prospettive notevoli nel campo della terapia dell'obesità. Questi farmaci sono tutti 'costruiti' intorno all'azione di una serie di ormoni gastrointestinali che agiscono sia sull'apparato gastro-intestinale, che a livello centrale, nella regolazione del bilancio energetico.

«Più in là - anticipa il professor Sbraccia - avremo anche i poli-agonisti e i tripli-agonisti (attivi sui recettori di GLP-1, GIP e glucagone). E comunque già oggi la terapia dell'obesità ha rotto il muro del suono, consentendo di superare soglie ritenute impensabili un tempo». E quindi per i pazienti con obesità il futuro sarà migliore. Ma non mancano i problemi. Questi farmaci hanno un costo non indifferente e attualmente sono a carico del paziente. «Questo - sostiene il professor Sbraccia - nel nostro sistema universalistico, introduce un problema di equità. Se poi i trial di outcome cardiovascolare, dimostrassero un'efficacia di queste terapie nelle popolazioni a rischio (chi ha già avuto un infarto o un ictus, ad esempio) certamente questo sarebbe un'altra freccia all'arco del trattamento con questi farmaci. Certo la rimborsabilità, in un sistema che deve essere sostenibile, potrebbe non essere semplice da ottenere, ma magari a fronte di questi risultati una fetta di popolazione potrebbe ottenerla».

In pipeline inoltre è in sviluppo per l'obesità la semaglutide orale, attualmente disponibile per i soggetti con diabete. «Ritengo però che queste terapie orali - prosegue Sbraccia - andrebbero riservate ad una nicchia di pazienti, gli adolescenti quelli con il terrore dell'ago (anche se questi che si usano sono sottili come capelli). Fare una piccola iniezione a settimana, certi della biodisponibilità del farmaco somministrato per questa via, sembra ancora la via migliore».La pipeline dei farmaci di next generation è ricchissima e sono 25-30 quelli in sperimentazione, dai triple agonist, alle small molecule. Un florilegio di nuovi farmaci, insomma, alla stessa stregua di quanto sta succedendo nel diabete (e quasi tutte queste terapie hanno la doppia indicazione diabete/obesità). «Se l'obesità si attesterà come vera e propria malattia - conclude Sbraccia - se avrà la dignità del 'bollino' di malattia cronica, perdendo al contempo lo stigma non solo sociale (il bullismo), ma clinico (quello che durante il Covid ha portato a chiudere gli ambulatori dell'obesità, salvo poi scoprire che gli obesi sono fragili e da vaccinare prioritariamente) e istituzionale (che finora non l'ha considerato un problema prioritario da affrontare), si spera che, anche grazie allo sviluppo farmacologico, questi pazienti avranno finalmente risposte ai loro problemi».

L'obesità parte (anche) dalla testa: dal 'bernoccolo del goloso', ai circuiti della 'dipendenza da cibo', cosa ci sta insegnando la fisiologia. E l'Italia primeggia in queste ricerche. La 'radice' cerebrale del sovrappeso non è la stessa in tutte le persone e la comprensione della sua diversità e complessità rappresenta l'obiettivo fondamentale della ricerca futura verso la personalizzazione della prevenzione e cura dell'obesità. «Tutta la ricerca sull'obesità - riflette la dottoressa Patricia Iozzo, dirigente di Ricerca, Istituto di Fisiologia Clinica, CNR di Pisa e adjunct professor presso l'Università di Turku (Finlandia) - in linea di massima finora si è concentrata sull'aspetto, che ha portato a considerare come un insieme omogeneo tutti i pazienti obesi, in contrapposizione ai normopeso, come se questi pazienti fossero tutti 'uguali' dal punto di vista della causa. Questo ha portato a risultati confondenti perché all'interno della popolazione degli 'obesi' ci sono tante fattispecie e purtroppo finora abbiamo risultati più derivanti da questo tipo di ricerche, che da quelle che tengono in considerazione la diversità».