16 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Alzheimer e sonnolenza

La sonnolenza diurna può essere segno di Alzheimer

Una sonnolenza durante la giornata è stata collegata alla presenza di proteine del cervello coinvolte nella malattia di Alzheimer, le placca beta amiloide

Sonnolenza diurna a Alzheimer, c'è un legame
Sonnolenza diurna a Alzheimer, c'è un legame Foto: fizkes | shutterstock.com Shutterstock

Una significativa analisi di dati raccolti in uno studio a lungo termine su un folto gruppo di adulti rivela come coloro che riferiscono di essere molto assonnati durante il giorno hanno quasi tre volte più probabilità di avere depositi cerebrali di beta amiloide, una proteina che è un segno distintivo per la malattia di Alzheimer.

Il problema sonno
Quanto scoperto dai ricercatori del Dipartimento di salute mentale presso la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, in collaborazione con il National Institute on Aging (NIA), va ad aggiungersi a un crescente corpo di evidenze su come il sonno di scarsa qualità può favorire la demenza e l’Alzheimer. Per contro, dormire in modo adeguato può prevenire la malattia. «Fattori come la dieta, l’esercizio fisico e l’attività cognitiva sono stati ampiamente riconosciuti come importanti obiettivi potenziali per la prevenzione della malattia di Alzheimer, ma il sonno non è ancora salito a tale status, anche se potrebbe cambiare – spiega il prof. Adam P. Spira – Se il sonno disturbato contribuisce alla malattia di Alzheimer, potremmo essere in grado di trattare i pazienti con problemi di sonno per evitare questi esiti negativi».

Lo studio
I dati raccolti sono stati forniti dal Baltimora Longitudinal Study of Aging (BLSA), uno studio a lungo termine iniziato dalla NIA nel 1958, e che ha seguito la salute di migliaia di volontari durante l’invecchiamento. Come parte degli esami periodici dello studio, i volontari hanno compilato un questionario tra il 1991 e il 2000 in cui dovevano rispondere a una semplice domanda, con risposta del tipo ‘Sì o No’: «Ti addormenti spesso o ti addormenti durante il giorno quando vuoi essere sveglio?»; «Fai un sonnellino [diurno]?», con opzioni di risposta ‘giornaliero’, ‘1-2 volte/settimana’, ‘3-5 volte/settimana’ e ‘raramente o mai’. Un sottogruppo di volontari del BLSA ha anche iniziato a ricevere valutazioni di neuroimaging nel 1994. A partire dal 2005, alcuni di questi partecipanti sono stati sottoposti a tomografia a emissione di positroni (PET) utilizzando il composto B di Pittsburgh (PiB), un composto radioattivo che può aiutare a identificare le placche beta-amiloide nei neuroni.

I risultati
Pubblicati sulla rivista scientifica Sleep, i risultati mostrano che sono stati identificati 123 volontari che hanno risposto a entrambe le domande precedenti e hanno effettuato una scansione PET con PiB in media circa 16 anni dopo. Gli autori hanno poi analizzato questi dati per vedere se c’era una correlazione tra i partecipanti che hanno riferito sonnolenza diurna o l’aver fatto un sonnellino e se hanno ottenuto un punteggio positivo per il deposito di beta-amiloide nel loro cervello. Tra coloro che hanno riportato una sonnolenza diurna, vi era una probabilità circa tre volte maggiore di avere dei depositi di placca beta-amiloide rispetto a quelli che non avevano segnalato stanchezza diurna. Dopo aver aggiustato per altri fattori di rischio o confondenti, il rischio di placca beta-amiloide era ancora 2,75 volte più alto in quelli senza sonnolenza diurna. Al momento, sottolineano i ricercatori, non è chiaro perché la sonnolenza diurna sia correlata alla deposizione di proteina beta-amiloide. Una ipotesi è che la stessa sonnolenza diurna possa in qualche modo causare la formazione di questa proteina nel cervello. «Tuttavia – conclude il prof. Spira – non possiamo escludere che le placche di amiloide che erano presenti al momento della valutazione del sonno abbiano causato la sonnolenza».