23 marzo 2023
Aggiornato 22:01
Infezioni urinarie e pollame

L’80% delle infezioni del tratto urinario è causato dal mangiare pollo e tacchino

Nella carne bianca avicola come quella di pollo e tacchino è stato trovato essere presente un ceppo di Escherichia coli, responsabile dell’80% delle infezioni urinarie anche gravi

Carne di pollo e Escherichia coli
Carne di pollo e Escherichia coli Foto: margouillat photo | shutterstock.com Shutterstock

Il pollame non solo è pieno di sostanze chimiche e farmaci, anche pericolosi ma, anche di batteri patogeni. Ricercatori hanno infatti scoperto la presenza di un ceppo di Escherichia Coli (E. coli) nelle carni bianche avicole, come quella di pollo e tacchino. Il consumare questo tipo di carne è stato associato all’80% delle infezioni del tratto urinario (come per esempio la cistite), della vescica e altre gravi condizioni.

Non solo da persona a persona
Il pericoloso batterio Escherichia coli è da sempre stato considerato un agente patogeno che si trasmetteva da animale a essere umano, tra le stesse persone, o che si poteva contrarre negli ospedali o nelle comunità. Infine, per mezzo di cibo contaminato. E questo è il caso del pollame che, come emerso dallo studio della George Washington University, negli Stati Uniti, è risultato essere nella gran parte contaminato da un ceppo di questo batterio.

Quasi dappertutto
Nello studio guidato dalla prof.ssa Lance B. Price è emerso che ben l’80% dei 2.452 campioni di carne avicola (pollo e tacchino) analizzati era contaminato dal ceppo E. coli ST131, il tipo di patogeno più comune che infetta l’uomo. Allo stesso modo, il 72% delle urine e delle emocolture di pazienti con infezioni del tratto urinario conteneva questo batterio. «In passato – spiega Lance B. Price – potevamo dire che l’E. coli di persone e pollame erano imparentati l’uno con l’altro, ma con questo studio possiamo dire con più sicurezza che l’E. coli è passato dal pollame alle persone e non viceversa».

Prospera e si adatta
I batteri, ormai l’abbiamo scoperto, riescono ad adattarsi molto bene e facilmente all’ambiente –specie quando è avverso. Una prova è la formazione della cosiddetta resistenza agli antibiotici. E l’Escherichia coli non è da meno. Quello scoperto dai ricercatori nella carne bianca appartiene a un particolare ceppo chiamato ST131-H22. Questo reca in sé particolari geni che aiutano l’E. coli a prosperare negli uccelli o nel pollame. Lo stesso ceppo che si è adattato al pollame ha anche provocato lo sviluppo delle infezioni urinarie nelle persone. Se più dell’80% delle infezioni del tratto urinario sono causate da E. coli, tuttavia, solo pochi ceppi sono responsabili della maggior parte delle infezioni gravi, sottolineano i ricercatori.

Lo studio
La prof.ssa Price e colleghi hanno condotto uno studio longitudinale della durata di un anno, durante il quale hanno analizzato la carne in vendita al dettaglio di pollo, tacchino e maiale dall’Arizona. I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sulla rivista mBio, e sottolineano l’estrema importanza di maneggiare con molta attenzione la carne di pollo e tacchino e poi di cucinarla adeguatamente, in modo da scongiurare per quanto si può il rischio di infezione. Questo è fondamentale, ribadiscono i ricercatori, poiché le infezioni del tratto urinario non sono da prendere sottogamba – come fanno molte persone che le ritengono dei disturbi minori – in quanto invece coinvolgono i reni o il sangue e possono essere pericolose per la vita. Una delle principali complicanze è la sindrome emolitico-uremica, che può portare a insufficienza renale e al decesso. Altre complicazioni possono essere paralisi, ipertensione, convulsioni.

I principali sintomi dell’infezione da E. coli
Tra i principali sintomi di un’infezione da Escherichia coli, ci sono mal di pancia o dolori all’addome, vomito e nausea, diarrea (con anche la presenza di sangue), febbre, sensazione di affaticamento. Nel caso di infezioni urinarie, i dolori si localizzano anche nell’area genitale e renale. I primi sintomi, in genere, si manifestano entro 48 ore dall’infezione, ma in alcuni casi può volerci anche più tempo.