Batterio killer negli ospedali, allerta in Veneto e in Emilia-Romagna. Il ministero della Salute: è epidemia
Già 6 vittime accertate in Veneto per un’infezione dal batterio da Mycobacterium Chimaera. La situazione è seria anche in Emilia-Romagna. Allarme da parte del Ministero della Salute

I batteri colpiscono duro ormai, specie negli ospedali, dove le infezioni sono quasi all’ordine del giorno. Questa situazione fa degli ospedali un ‘luogo pericoloso’, dove può capitare di essere ricoverati per un motivo e ammalarsi per un altro – rischiando anche la vita. E’ il problema dei batteri onnipresenti e della resistenza. Che a questo punto è praticamente sfuggito di mano. A complicare le cose, ora, ci si mette un batterio chiamato da Mycobacterium Chimaera, che si annida nei serbatoi d’acqua.
Da dove arriva l’infezione
Come accennato il batterio Mycobacterium Chimaera si è annidato nei serbatoi di un macchinario in uso nei reparti di cardiologia di diversi ospedali del Veneto. Nello specifico, i casi registrati – che hanno provocato già 6 morti – sono stati attribuiti a un’infezione partita dal serbatoio d’acqua del LivaNova Stockert 3T, un macchinario prodotto dalla LivaNova Deutschland GmbH che è impiegato per riscaldare, o raffreddare, il sangue dei pazienti operati a cuore aperto che devono essere sottoposti a circolazione extracorporea.
Gli infettati
Fino a ieri, i casi accertati di infezione sono 18 (di cui 6 già deceduti). La conferma che si tratti di contagio e morte avvenuta a causa del batterio Mycobacterium Chimaera è arrivata dall’esame microbiologico specifico per micobatteri e dall’autopsia eseguita sui deceduti (4 a Vicenza, 1 a Padova e 1 a Treviso). Nel frattempo, l’Azienda Zero ha inviato nelle cinque Cardiochirurgie della regione gli ispettori, che sono impegnati ad acquisire le cartelle cliniche dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico negli ospedali di Padova, Mestre, Treviso e Vicenza. Fa eccezione l’Azienda ospedaliera di Verona, che non ha registrato contaminazioni poiché ha acquistato un modello di macchinario prodotto da una ditta giapponese, la Terumo, con il supporto del dispositivo LivaNova. La relazione finale degli ispettori sarà poi presentava in Regione Veneto, invitata al Ministero della Salute e depositata nelle Procure competenti per territorio.
Anche in Emilia-Romagna
Al pari del Veneto, anche l’Emilia-Romagna è ora sotto il controllo degli esperti, poiché negli ospedali della regione sono presenti 14 sistemi LivaNova ancora in uso (in principio erano 19). Le cartelle cliniche sotto esame sono 134, e da queste sono già emersi 4 primi casi sospetti e due decessi. Nella nota inviata alle Regioni, il Ministero della Salute parla di «epidemia globale». «Casi invasivi di Mycobacterium Chimaera sono stati riscontrati in Europa e non solo — scrive il direttore generale Claudio D’Amario — e sono stati associati all’utilizzo di dispositivi di riscaldamento/raffreddamento necessari a regolare la temperatura del sangue in circolazione extracorporea durante interventi cardiochirurgici […].La contaminazione sarebbe avvenuta tramite aerosol contenente il batterio Chimaera proveniente dalle taniche dei dispositivi LivaNova Stockert 3T. Il sito di produzione in Germania di tali dispositivi è stato indicato come probabile luogo di infezione, tuttavia non si può escludere altra possibile contaminazione nel luogo di utilizzo di questi dispositivi. Il periodo di incubazione – aggiunge D’Amario – ha una mediana di 17 mesi e un range di 3/72 mesi. I sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso. Non esiste una terapia stabilita e il tasso di mortalità è circa del 50%. […] Attualmente l’entità dell’epidemia globale non è nota con esattezza», conclude l’esperto.
Le scuse dell’azienda
Dopo la segnalazione dei casi di contagio e decesso la LivaNova si è subito attivata, inviando al Ministero della Salute e alle Regioni un «avviso di sicurezza urgente», firmato dal vicepresidente Joan Ceasar, atto a limitare «il potenziale rischio di infezione in Cardiochirurgia». Nell’avviso si consiglia anche la procedura per ‘bonificare’ i macchinari, utilizzando del perossido d’idrogeno (acqua ossigenata) «in una concentrazione sufficiente a limitare la crescita microbica tra i cicli di pulizia e disinfezione regolarmente eseguiti ogni 14 giorni. Questa pratica – scrive Ceasar – migliora la procedura di manutenzione dell’acqua». Tuttavia, avverte il vicepresidente di LivaNova, «se la concentrazione di perossido di idrogeno nel circuito idraulico scende sotto le 100 parti per milione, è possibile che inizino a svilupparsi microrganismi». Per arginare al meglio e al più presto il problema, Ceasar invita le aziende ospedaliere a rivolgersi subito al proprio rappresentante LivaNova in modo da ottenere il supporto necessario. Infine, a nome dell’azienda, si scusa per «eventuali disagi che questa situazione può aver causato».
Il punto della situazione secondo il Ministero della Salute
In una nota pubblicata sul sito, il Ministero della Salute fa il punto della situazione, circa l'infezione. «Il Mycobacterium chimaera - si legge nella nota - è un batterio identificato per la prima volta nel 2004, diffuso in natura, presente soprattutto nell’acqua potabile e generalmente non pericoloso per la salute umana.
Casi invasivi di M. chimaera sono stati riscontrati in Europa, e non solo, e sono stati associati all’utilizzo di dispositivi di raffreddamento/riscaldamento (Heater-Cooler Devices, HCD) necessari a regolare la temperatura del sangue in circolazione extra corporea durante interventi cardiochirurgici, per lo più per contaminazione dei pazienti tramite aerosol proveniente dall’acqua delle taniche dei dispositivi. La prima identificazione di un caso di infezione associato a questo tipo di dispositivo risale al 2014, anche se attraverso indagini retrospettive è stato possibile riconoscere anche casi verificatisi precedentemente, a partire dal 2011.
Il periodo di incubazione dopo l'esposizione al M. chimaera risulta lungo, con una mediana di 17 mesi (range 3-72 mesi). Segni e sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso. Non esiste una terapia stabilita e il tasso di mortalità è circa del 50%. Attualmente, l’entità dell’epidemia globale non è nota con esattezza.
L’Italia sembrava esclusa dall’emergenza di queste nuove infezioni.
Il Ministero della Salute, alcuni mesi fa, all’interno della cornice istituzionale rappresentata dal Piano Nazionale di contrasto dell’antibiotico-resistenza (PNCAR) 2017-2019, ha avviato un’attività di valutazione del rischio per il nostro Paese allo scopo di emanare raccomandazioni specifiche.
Questa fase preliminare include diverse azioni, tra cui:
un approfondimento dei dati raccolti a partire dal 2016 dall’ISS, che hanno evidenziato la circolazione del micobatterio anche in Italia
la richiesta alle regioni di dati relativi a eventuali casi, sporadici o in cluster, di infezione invasiva da Mycobacterium, anche attraverso un’analisi retrospettiva dei dati stessi
una verifica su Dispovigilance (sistema informativo per la rete nazionale di vigilanza sugli incidenti che coinvolgono dispositivi medici) di eventuali eventi riportati.
Si è in attesa di ricevere riscontro dalle regioni e il ritardo è probabilmente dovuto al fatto che il lungo periodo di incubazione e la scarsa specificità del quadro clinico rendono complessa e laboriosa l’identificazione di casi possibili che devono, comunque, essere confermati da indagini di laboratorio specifiche, non sempre disponibili per i casi individuati retrospettivamente».
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