29 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Infezioni ospedaliere

Batterio killer Chimera, i virologi Simit è allarme «serve un monitoraggio a livello nazionale»

Le infezioni da Chimera continuano a far parlare di sé, con le preoccupazioni che ora destano dopo i diversi decessi in Veneto e Emilia-Romagna. Cosa si può e si deve fare per arginare il problema

Ospedale e infezioni
Ospedale e infezioni Foto: Spotmatik Ltd | shutterstock.com Shutterstock

Se n’è parlato diffusamente delle numerose infezioni da Mycobacterium chimaera (o Chimera) che hanno colpito a fine novembre, il Veneto e l’Emilia-Romagna, quando 16 persone hanno contratto l’infezione e 6 sono decedute. La diffusione del batterio killer è stato accertato essere legata all’utilizzo di un macchinario utilizzato per riscaldare, o raffreddare, il sangue dei pazienti operati a cuore aperto. Ora, sul caso interviene anche la SIMIT, che ha dedicato la sessione di apertura del XVII Congresso Nazionale in corso a Torino.

Un piano nazionale
La Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) ha messo a punto un Piano Nazionale che ha in pole position proprio il tema delle infezioni nosocomiali (ospedaliere) e delle collegate resistenze batteriche. Il Piano è stato messo a punto dal presidente prof. Massimo Galli contiene anche il trattamento dei pazienti HIV-AIDS, l’eliminazione dell’epatite C e il piano vaccini con la gestione delle malattie vettoriali frutto della globalizzazione. «Il problema del batterio chimera è noto da qualche anno – spiega Pier Giorgio Scotton, Responsabile delle Malattie Infettive dell’Ospedale di Treviso e membro SIMIT – Agli ospedali di Treviso e Vicenza lo abbiamo evidenziato già all’inizio del 2017. E’ associato all’utilizzo di una macchina per interventi in extracorporea, che durante l’intervento ha provocato un aerosol di particelle colonizzate dal germe e questo andava a contaminare il cavo dell’intervento».

Il batterio in genere è innocuo
I batteri come il Mycobacterium chimaera in genere sono innocui e scarsamente patogeni. E’ infatti raro che provochino un’infezione. Detti batteri sono presenti nell’ambiente, nell’aria e nell’acqua e, di fatto, ne veniamo in contatto molto spesso. Ma non è contagioso. Questi stessi microrganismi possono tuttavia divenire pericolosi se si insediano nelle protesi cardiache o vascolari, difatti quando si attaccano a del materiale protesico possono determinare delle importanti infezioni.

Quando si manifesta la malattia
Quella contratta di pazienti degli ospedali del Veneto e dell’Emilia-Romagna, è una malattia molto rara. Si stima che interessi uno o due pazienti ogni mille operati con tale apparecchiatura. «Tuttavia – sottolinea il dott. Scotton – è difficile da diagnosticare, perché il tempo dell’incubazione è molto lungo e può emergere anche fino a 5 anni dopo l’intervento. Se un soggetto sta bene, non esistono test per stabilire se il paziente ha contratto l’infezione. Il test può essere fatto solo su pazienti sintomatici, ossia che stiano male da settimane o mesi con febbre, spossatezza, alterazioni importanti degli esami del sangue: in tal caso, si devono rivolgere a centri specializzati di malattie infettive. Il batterio deve essere cercato con la massima caparbietà possibile».

I provvedimenti
Dopo i casi di infezione e di morte dei pazienti, sia in Veneto che in Emilia-Romagna sono state prese delle precauzioni per mettere in sicurezza le sale operatorie e le macchine che hanno provocato la malattia. Sono stati anche avvisati i pazienti operati dal 2010 in poi, affinché se manifestino determinati disturbi si possano recare presso i reparti di malattie infettive. «Sul piano delle infezioni nosocomiali siamo in ritardo – fa notare il prof. Di Perri – Ci sono dei progressi, ma oggettivamente resta ancora molto da fare. Bisogna innanzitutto utilizzare meglio i farmaci che abbiamo. E’ poi necessario utilizzare con molta cautela quelli che stanno arrivando, che hanno delle proprietà non particolarmente straordinarie rispetto ai problemi da affrontare, ma restano comunque delle risorse da sfruttare. Per la sanità dei Paesi occidentali questo è uno dei problemi di spicco».