26 aprile 2024
Aggiornato 07:30
Peste

Peste nera: i topi non c’entrano. Sono stati gli esseri umani a diffonderla

Topi assolti: a causare l’epidemia di peste che nel 1300 ha ucciso molti europei sono stati gli esseri umani e la scarsa igiene

La peste nera non è stata causata dai topi
La peste nera non è stata causata dai topi Foto: Shutterstock

Non è colpa dei ratti se un’epidemia di Peste ha ucciso parecchi europei intorno al 1300. Li abbiamo incolpati ingiustamente per anni, quando – a quanto pare – la diffusione della patologia era stata favorita proprio da noi esseri umani. O, per meglio dire, dalla scarsa igiene della maggior parte delle persone. È quanto suggerisce un recente studio condotto da alcuni scienziati dell’Università di Oslo e dell’Università di Ferrara. Ecco come gli studiosi sono riusciti ad assolvere i ratti.

Epidemie di peste
In Europa si sono verificate diverse epidemie di peste che hanno causato il decesso di molte persone. Uno degli episodi più devastanti lo ricordiamo con il nome di morte nera. Avvenne tra il 1347 e il 1352 e causò la morte di un terzo della popolazione. Alla base di tale patologia, tuttavia, gli scienziati sembrano smentire il ruolo chiave dei topi: a diffondere la peste sono stati gli esseri umani. Per essere più precisi, i piccoli parassiti che alloggiano facilmente sulla pelle umana: pulci e pidocchi.

Med Plague
«Lo studio, pubblicato su Pnas fa parte di un progetto europeo denominato Med Plague che ricostruisce le rotte e le cause delle antiche epidemie, finanziato per 5 anni e di cui sono principal investigator -  spiega all’AdnKronos Salute Barbara Bramanti, ricercatrice dell’University of Oslo e professore associato all’Università di Ferrara - Questo lavoro è stato concepito ad Oslo con il team di Nils Stenseth del Centre for Ecological and Evolutionary Synthesis».

La peste non è tutta uguale
Tendiamo a parlare di peste come se si trattasse di una patologia con sintomi ben definiti. In realtà ne esistono almeno tre forme diverse: la polmonare, la bubbonica e la setticemica. «La polmonare era l’unica per cui si considerava la trasmissione da uomo a uomo, attraverso le goccioline di aerosol emesse respirando. Per le altre forme si è sempre pensato che il vettore fossero le pulci degli animali. In seguito alla terza pandemia di peste, che ebbe origine in Cina nel 1855, è stata infatti notata una violenta moria di ratti pre-epidemia. Dunque si è pensato che le pulci dei ratti, non trovando nuovi ospiti, saltassero sulle persone infettandole. Questo era il meccanismo considerato in generale all’origine anche delle pesti antiche. Ma c’è un problema: nei resoconti d’epoca non si parla di morie di ratti», spiega Bramanti ad Adnkronos.

Il confronto con epidemie più recenti
Se ci fosse stata una grande moria di ratti senza dubbio il fenomeno sarebbe stato riportato nei testi storici, invece non è stato così: è più che evidente, quindi, che i piccoli roditori non avevano niente a che fare con la diffusione della malattia. Per avere ulteriori conferme, gli scienziati hanno fatto un piccolo ritorno al passato analizzando i Big Data e mettendo a punto un modello che potesse simulare le varie epidemie. Dopodiché lo hanno testato con epidemie recenti per le quali si aveva la certezza della loro origine. Il sistema sembrava rispondere perfettamente alle esigenze degli scienziati.

Ritorno al passato
Una volta ritenuto il sistema affidabile, gli scienziati hanno simulato le epidemie che hanno coinvolto alcune città dell’Europa. Per ognuna sono stati inseriti tre modelli di diffusione: goccioline di aria, pidocchi e pulci che vivono negli esseri umani e ratti. In ben sette su nove città prese in esame il responso era chiaro: a diffondere la malattia erano stati pulci e pidocchi che vivevano negli esseri umani. «E questo spiega anche perché Boccaccio non accenna alla moria di ratti», spiega la ricercatrice.

Ridurre la mortalità in futuro
«Comprendere meglio cosa accadde durante un’antica epidemia è un buon modo per ridurre la mortalità in futuro», dichiarano i ricercatori. «Il nostro lavoro suggerisce che per prevenirne la futura diffusione  attraverso l’igiene è molto importante, a livello personale ma anche a livello di pulizia dei luoghi di vita e delle città», conclude Bramanti.