20 aprile 2024
Aggiornato 11:30
Salute del cervello

Impara una lingua e sei protetto dall’Alzheimer. La scoperta

I ricercatori italiani dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele identificano le basi neurologiche che proteggono il cervello chi parla due lingue. Grazie a ciò, le persone bilingui riescono a compensare i danni causati della malattia di Alzheimer

Alzheimer e demenza, parlare due lingue pare protegga il cervello
Alzheimer e demenza, parlare due lingue pare protegga il cervello Foto: Shutterstock

MILANO – C’è un vantaggio a parlare due lingue. E non solo perché si hanno maggiori possibilità di comunicare con gli altri, ma perché si è più protetti da una malattia temibile come l’Alzheimer. Ecco quanto scoperto dai ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele, in uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS).

Protetti da demenza e Alzheimer
Le persone bilingui risultano dunque più protette contro la demenza e la malattia di Alzheimer e i relativi sintomi. Secondo quanto scoperto dai ricercatori italiani, il parlare due lingue durante la propria vita modifica le funzioni cerebrali relative all’attività metabolica frontale e alla connettività tra specifiche aree del cervello. Il che consente di compensare i danni prodotti dalla malattia. Lo studio è stato coordinato dalla professoressa Daniela Perani, direttrice dell’Unità di Neuroimaging molecolare e strutturale in vivo nell’uomo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele – una delle 18 strutture di eccellenza del Gruppo ospedaliero San Donato – e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele. E i risultati rappresentano un contributo fondamentale alla ricerca dei fattori in grado di ritardare o contrastare una malattia ancora priva di cure farmacologiche efficaci.

Ritardare la demenza fino a 5 anni
Già recenti studi epidemiologici hanno mostrato come essere bilingue possa ritardare fino a 5 anni l’esordio di alcuni tipi di demenza senile. Nonostante ciò, i meccanismi neurobiologici che si celano dietro a questo effetto protettivo sono ancora largamente sconosciuti. La ricerca italiana è la prima a studiare un ampio gruppo di pazienti affetti da demenza causata dall’Alzheimer. I partecipanti erano in totale 85. Metà di questi italiani monolingue e metà bilingui, originari dell’Alto Adige. Le analisi sono state condotte per mezzo di una tecnica di Imaging FDG-PET, che è un tipo di tomografia a emissione di positroni che permette di misurare il metabolismo cerebrale e la connettività funzionale tra diverse strutture del cervello.

Più anziani, ma più sani
Come già evidenziato dai risultati di diversi studi, i pazienti bilingui affetti da demenza di Alzheimer erano in media più vecchi di 5 anni rispetto ai monolingui – a significare che la malattia, in questo caso, era insorta più tardi. Questi hanno inoltre ottenuto punteggi più alti in alcuni test cognitivi volti a valutare la memoria verbale e visuo-spaziale, che è la capacità di riconoscere luoghi e volti, si legge nel comunicato IRCCS. Sebbene questi pazienti avessero dimostrato una migliore performance cognitiva, la FDG-PET ha svelato che il loro metabolismo era più gravemente ridotto nelle aree cerebrali tipicamente colpite dalla malattia rispetto ai pazienti monolingue, indicando una neurodegenerazione. Questo fenomeno controintuitivo è la prova che il bilinguismo costituisce una cosiddetta ‘riserva cognitiva’ che funziona da difesa contro l’avanzare della demenza. «È proprio perché una persona bilingue è capace di compensare meglio gli effetti neurodegenerativi della malattia di Alzheimer – spiega Daniela Perani – che il decadimento cognitivo e la demenza insorgeranno dopo, nonostante il progredire della malattia».

Quali sono i meccanismi di compensazione
Nello studio, i ricercatori mostrano che il cervello dei pazienti che parlano due lingue, rispetto a quello dei pazienti monolingue, presenta una maggiore attività metabolica nelle strutture cerebrali frontali – implicate in compiti cognitivi complessi – e una maggiore connettività cerebrale in due importanti network cerebrali che sottendono le funzioni di controllo cognitivo ed esecutivo, è sottolineato nel comunicato. Sarebbero anche questi meccanismi a garantire ai pazienti bilingue performance cognitive migliori a fronte della perdita di strutture e funzioni cerebrali importanti. Attraverso un questionario costruito ad hoc sull’uso delle due lingue, lo studio dimostra inoltre che gli effetti positivi del bilinguismo dipendono anche dal livello di esposizione e di utilizzo delle due lingue. «Confrontando i risultati del questionario con quelli della PET e con la performance dei pazienti, si osserva che più le due lingue sono utilizzate, maggiori sono gli effetti a livello cerebrale e migliore è la performance. Il punto non è quindi conoscere due lingue, ma usarle costantemente in maniera attiva e durante tutto l’arco della vita. Questo dovrebbe suggerire alle politiche sociali degli interventi atti a promuovere e mantenere l’uso delle lingue e altrettanto dei dialetti nella popolazione», conclude la prof.ssa Perani.