25 aprile 2024
Aggiornato 23:30
Effetti indesiderati dei farmaci

Farmaci antipsicotici aumentano del 60% il rischio di morte precoce nei malati di Alzheimer

L’assunzione di farmaci antipsicotici nei pazienti con malattia di Alzheimer aumenta in modo significativo il rischio di morte prematura. I risultati di un nuovo studio

Farmaci antipsicotici aumentano rischio di morte nei malati di Alzheimer
Farmaci antipsicotici aumentano rischio di morte nei malati di Alzheimer Foto: Shutterstock

FINLANDIA – Un largo studio finlandese, che ha analizzato i dati relativi a circa 58mila persone con diagnosi di Alzheimer ottenuta tra il 2005 e il 2011 ha rivelato un quadro piuttosto preoccupante: l’assunzione di farmaci antipsicotici nei malati di Alzheimer fa aumentare di ben il 60% il rischio di morte prematura rispetto a coloro che non assumono questi farmaci.

Prima inizi peggio è
I ricercatori della Facoltà di Farmacia dell’Università della Finlandia Orientale hanno osservato che il rischio era maggiore tanto più si era iniziato prima ad assumere i farmaci antipsicotici, e questo stesso aumento del rischio persisteva con l’uso a lungo termine. Inoltre, le persone che assumevano due o più antipsicotici avevano circa il doppio di probabilità di morire prima del tempo rispetto a chi ne assumeva soltanto un farmaco.

Una conferma
Nonostante lo studio non possa dimostrare un legame di causa/effetto tra l’uso dei farmaci antipsicotici e la morte prematura, i risultati confermano quanto già suggerito da precedenti studi i quali, già dieci anni fa, avvertivano del rischio di morte tra i pazienti con Alzheimer. La ricercatrice Marjaana Koponen e colleghi ricordano che i farmaci antipsicotici dovrebbero essere utilizzati solo per i sintomi comportamentali più difficili nei casi di demenza, quali agitazione e aggressività. Allo stesso modo, la durata del trattamento dovrebbe essere limitata. Infine, ai pazienti dovrebbero essere somministrate dosi il più basse possibile, e non devono essere somministrati due o più antipsicotici contemporaneamente. I risultati completi dello studio sono stati pubblicati sul Journal of Alzheimer’s Disease.