25 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Caldo e infezioni

Le ondate di calore favoriscono la salmonellosi

Il calore estremo, così come le precipitazioni che spesso l’accompagnano, fanno aumentare in maniera esponenziale le infezioni da Salmonella. I più a rischio sono i paesi sulle coste

MARYLAND – Calore estremo, come quello che ha colpito in questi giorni la nostra Penisola, e le possibili precipitazioni, fanno aumentare l’intensità e la frequenza della infezioni da Salmonella, dette anche salmonellosi. Le zone più a rischio: quelle costiere.

Clima pazzo
Che il clima sia cambiato se ne sono accorti tutti. «Non ci sono più le stagioni di una volta», si sente spesso ripetere, e un po’ è vero. Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Si passa da temperature quasi autunnali a quelle africane nel giro di un giorno. E non solo il fisico ne risente ma, a quanto pare, tutto ciò influisce sulla diffusione delle infezioni.

Prove concrete
Quelle trovate dagli scienziati della Scuola di Salute Pubblica dell’Università del Maryland, sono prove concrete: la salmonella e le infezioni sono correlate agli eventi meteorologici estremi, e incidono soprattutto in coloro che vivono nelle zone costiere. «Abbiamo riscontrato che le giornate estremamente calde e i periodi di precipitazioni estreme stanno contribuendo alle infezioni da Salmonella – spiega il dott. Amir Sapkota, dell’Istituto Maryland for Applied Environmental Health – con le conseguenze più drammatiche osservate nelle comunità costiere».

Un batterio diffuso
Quello della Salmonella è un batterio piuttosto diffuso. Si trova comunemente nel pollame crudo, in uova, carne di manzo e prodotti non lavati. La Salmonella provoca circa 1,2 milioni di casi di gastroenterite acuta, che molti confondono con la cosiddetta influenza intestinale. Lo studio, pubblicato su Environment International, si è basato su ben trent’anni di dati meteorologici per poter arrivare a concludere che vi è uno stretto legame tra le ondate di calore, le precipitazioni e le infezioni di salmonellosi. Il rischio, nello specifico, aumenta dal 4,1% fino al 7,1%. Gli autori dello studi auspicano che le Autorità sanitarie prendano in considerazione questi fattori di rischio.