25 aprile 2024
Aggiornato 11:30
L'intervista

Minelli: «Le nuove misure del governo non servono a contenere i contagi»

Il DiariodelWeb.it analizza le ultime misure restrittive del governo e le cifre sulla pandemia del coronavirus con lo specialista in immunologia clinica Mauro Minelli

Minelli: «Le nuove misure del governo non servono a contenere i contagi»
Minelli: «Le nuove misure del governo non servono a contenere i contagi» Foto: Angelo Carconi ANSA

Non siamo di nuovo in lockdown (almeno per ora), ma poco ci manca. L'ultimo Dpcm del premier Giuseppe Conte ha imposto il blocco totale di cinema, teatri, palestre, ma anche la chiusura di bar e ristoranti alle ore 18. Misure restrittive nuovamente molto pesanti, per un'economia uscita già massacrata dalla prima ondata del coronavirus. Ma, soprattutto, per alcuni non del tutto giustificate né efficaci. Così come ingiustificato sarebbe il panico collettivo per la pandemia, frutto di un'interpretazione scientificamente scorretta delle cifre pubblicate quotidianamente dalle autorità. Il DiariodelWeb.it ne ha discusso con il professor Mauro Minelli, specialista in immunologia clinica.

Professor Mauro Minelli, ci troviamo di nuovo in una situazione di semi-lockdown. Ma siamo davvero sicuri che la chiusura generalizzata sia la scelta migliore per contenere il contagio?
Diciamo che io ritengo poco opportune le misure estreme. E lo dico senza voler passare per negazionista. Il problema è che, persino a fronte di evidenze note e condivise da tutti, risulta difficile segnalare incongruenze nelle comunicazioni ufficiali senza essere tacciato di oscurantismo o irresponsabilità.

In effetti si è creato una sorta di pensiero unico, di fronte al quale qualsiasi obiezione si trasforma in eresia.
Esatto, quindi chiariamo bene i punti. Quello che sostengo è che ci troviamo in una condizione di spavento elevata a sistema. Io li definisco gli «intimoritori», quelli che ce la mettono tutta per impaurire ad ogni costo. E l'attitudine è quella ad immaginare che tutti, indistintamente e alla stessa maniera, dovremo morire di Covid. Invece gli elementi per individuare delle differenze ci sono.

Ad esempio?
Le latitudini: quelle dove si contano 3740 contagi in un giorno, come in Lombardia, e quelle dove se ne contano 424, come in Puglia. Ci eravamo già soffermati su questo punto in occasione della prima ondata e anche la seconda, eccezion fatta per la Campania, è più o meno sovrapponibile alla prima. Ma io, a proposito del lockdown, mi chiedo una cosa.

Quale?
La nuova ondata di positivi non è partita a inizio settembre, dopo che pure in estate si è verificata un'apertura piuttosto disinvolta di ristoranti, bar e strutture alberghiere, in cui certamente non è mancato il contatto tra le persone. Il punto critico potrebbe essere il grande riavvio dei servizi della pubblica amministrazione e soprattutto il sovraffollamento del trasporto pubblico, correlato in particolare all'inizio della scuola. Dunque, perché non valutare misure più tarate sulla situazione reale?

Quali sono le misure che proporrebbe?
Per esempio consideriamo di alleggerire il carico degli studenti, prevedendo un ingresso differito nelle scuole superiori, con possibilità di ricorrere parzialmente alla didattica a distanza. Consideriamo l'ipotesi del lavoro a casa. E poi, valutando i dati del tracciamento, sarebbe più logico individuare i siti a maggior rischio di contagio e bloccare solo quelli più evidentemente critici, invece di imporre un blocco totale, in realtà già fortemente provate sul fronte produttivo. E se tra questi luoghi di maggiore criticità non dovessero esserci ristoranti, bar e gelaterie, perché chiuderli in maniera così drastica?

Lei pensa che il problema sia da ricercare altrove, non nella ristorazione?
I ristoratori hanno speso una marea di tempo e di denaro a sistemare i locali, con i divisori e le strisce gialle per terra. E queste misure evidentemente hanno funzionato, perché nel corso dell'estate, quando bar e ristoranti erano altrettanto frequentati, il problema non è ricomparso. Eppure oggi devono chiudere lo stesso.

Insomma, i decisori politici, invece di considerare il quadro completo, si limitano a reagire al numero dei contagi pubblicato il giorno prima.
Io mi chiedo: cosa sarebbe stata l'epidemia di Covid-19 se fosse esplosa solo cinquant'anni fa? Ovvero, quando non c'erano tecniche di biologia molecolare e le dotazioni diagnostiche non consentivano di avere, con questa tempestività, i numeri sui quali si fonda questa confusione da panico. Ecco, avremmo avuto lo stesso allarme sociale? Le cifre che leggiamo ogni giorno sicuramente atterriscono, ma dovrebbero essere lette per il loro valore reale ed effettivo.

In che senso?
Nel senso che il numero di soggetti positivi viene individuato come elemento di criticità. Ma la positività di un tampone molecolare è legata al reperimento di minuscole quantità di Rna virale. Ora, quella frazione non è per forza rappresentazione di una particella viva o attiva, né quantitativamente in grado di infettare.

Questo significa che non tutti i positivi al tampone sono contagiosi?
Assolutamente no. È noto a tutti che essere positivi a quel test non equivale necessariamente ad essere sintomatici, quindi malati, né addirittura ad essere contagiosi. La contagiosità dipende dalla concentrazione del virus rilevata nel tampone.

Quindi qual è la reale pericolosità del coronavirus?
A livello mondiale il tasso di letalità è stabilito pari allo 0,6%. Quello della Sars era del 10%, quello della Mers del 37%. Quello dell'influenza ordinaria è dello 0,2%. Dunque possiamo dire che il tasso di letalità del Covid-19 è relativamente basso.

Ha un senso riporre tutte queste aspettative nel famigerato vaccino?
Si legge che sia molto più vicino di quanto si possa immaginare. Per quanto io veda ancor più prossima ed efficace la prospettiva terapeutica che si basa sull'utilizzo degli anticorpi monoclonali. Che riescono ad immunizzare passivamente il paziente, per un tempo di diversi mesi, e anche di curare i soggetti ammalati. C'è una sperimentazione abbastanza avanzata in questo senso, quindi c'è da credere che nei primi mesi dell'anno prossimo si possa avere un farmaco a disposizione.