Raggi visibilmente commossa: assolta perché «il fatto non costituisce reato»
La sindaca di Roma è stata assolta dall’accusa di falso nel processo di primo grado in cui era imputata per la storia della nomina di Renato Marra

ROMA - La sindaca di Roma Virginia Raggi è stata assolta dall’accusa di falso nel processo di primo grado in cui era imputata per la storia della nomina di Renato Marra, fratello dell’ex braccio destro di Raggi, Raffaele, alla direzione del Dipartimento turismo. Il giudice ha stabilito che «il fatto non costituisce reato». Se fosse stata condannata, secondo quanto prevede il codice etico del Movimento 5 Stelle, la sindaca si sarebbe dovuta dimettere, dando inizio a un processo di commissariamento di Roma e a nuove elezioni. I tre difensori della prima cittadina avevano chiesto l'assoluzione perché fu lei a valutare le nomine a decidere. Uscendo dal tribunale, visibilmente commossa, Raggi ha commentato: «Questa sentenza spazza via due anni di fango nei miei confronti. Ora avanti a testa alta. Per Roma e per tutti i cittadini». Su Facebook è stato poi pubblicato un post in cui tra le altri pensieri scrive: «In questo momento ho mille pensieri ed idee che vorrei condividere. Umanamente è stata una prova durissima ma non ho mai mollato».
Di Maio contro i giornalisti «sciacalli»
Immediata la reazione dei pm che avevano chiesto per lei la condanna a dieci mesi: «Attendiamo le motivazioni della sentenza per un eventuale appello». «Forza Virginia! Contento di averti sempre difesa e di aver sempre creduto in te» commenta a caldo il vicepremier Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle. «Il peggio in questa vicenda - continua Di Maio - lo hanno dato la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli, che ogni giorno per due anni, con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi».
L'accusa e la difesa
I pm avevano fatto leva sulla motivazione politica che avrebbe spinto la Raggi a mentire, cioè la necessità di coprire non tanto il possibile abuso d’ufficio in concorso con Marra, accusa poi archiviata, quanto la possibile apertura di un fascicolo a suo carico che l’avrebbe condotta, secondo il codice etico del M5s, ad un possibile deferimento ai probiviri del partito con il rischio, più che reale, di essere espulsa o addirittura di doversi dimettere da sindaca a poche settimane dalle elezioni. Raggi si è difesa sostenendo che «quell’articolo del codice etico, nella prassi, non è mai stato applicato fattivamente, tant’è vero che poi è stato modificato». A sostegno di questa tesi, la sindaca ha ricordato la vicenda di Filippo Nogarin, sindaco di Livorno indagato (e poi archiviato) nell’ambito delle indagini sulla procedura di concordato preventivo di Aamps, e di Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, per alcuni appalti al Teatro Regio. «Nogarin – ha spiegato Raggi – ha detto subito di aver ricevuto notizia di reato e non è stato espulso, mentre per Pizzarotti è stato diverso perché ha nascosto le indagini, non certo perché era indagato».
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