Anche il New York Times indaga sul ponte di Genova: «Perché è caduto»
Il prestigioso quotidiano statunitense dedica una lunga inchiesta al disastro del viadotto Morandi: la loro versione è che siano caduto gli stralli del lato sud
ROMA – «When the bridge fell». Ovvero, quando cadde il ponte. Si intitola così il servizio di apertura dell'edizione internazionale del New York Times, che il prestigioso quotidiano statunitense dedica al crollo del viadotto Morandi di Genova, a poco meno di un mese dalla catastrofe nella quale hanno trovato la morte 43 persone. La stampa di tutto il mondo si era occupata già ampiamente del caso, nell'immediatezza della tragedia, ma stavolta quella firmata dai giornalisti James Glanz, Gaia Pianigiani, Jeremy White e Karthik Patanjali, con le immagini della fotografa Nadia Shira Cohen, è un'ampia ricostruzione della dinamica del disastro, realizzata grazie alla visione di video finora inediti registrati dalle telecamere di sicurezza e all'incontro con decine di soccorritori, investigatori e ingegneri. A partire da Davide Capello, il pompiere rimasto appeso nel vuoto con la propria auto: «In una frazione di secondo, anche la sua macchina precipitò, con il muso verso il basso, il parabrezza oscurato dalla polvere e blocchi di calcestruzzo che volavano tutto intorno – si legge nell'articolo, pubblicato anche in una versione tradotta in italiano sull'edizione online del giornale – 'Sono morto! Sono morto!', urlò d’istinto. Era in caduta libera».
Come è caduto il ponte
Il New York Times fa sostanzialmente sua l'ipotesi proposta ufficiosamente da diversi esperti: ovvero quella che i primi a cedere siano stati gli stralli, in particolare quelli del lato sud. «Si rompono i cavi degli stralli a sud, provocando il cedimento repentino degli stralli stessi – si legge nella ricostruzione dei giornalisti americani – Parti dell’impalcato iniziano a ruotare verso sud. Le sezioni dell’impalcato iniziano a cedere e il peso della strada poggia interamente sugli stralli a nord e i cavi rimasti e gli stralli di cemento armato si spezzano. Le due estremità degli stralli spezzati penzolano dalla pila mentre parti dell’impalcato finiscono a terra, alcuni girate sotto sopra. Infine anche la pila, alta più di 90 metri, crolla sulla sua stessa pila di macerie».
Il racconto dei testimoni oculari
Nel suo servizio, inoltre, il Times ripercorre le vicende storiche che hanno portato alla costruzione del viadotto del Polcevera: «Era più di un ponte – prosegue l'articolo – Era un viaggio nella maestria e nell’innovazione lungo oltre mille metri che era valso ampia fama al progettista, Riccardo Morandi, nel mondo dell’architettura e dell’ingegneria. La sua forma era così leggera e ariosa che sembrava balzata fuori dall’elegante disegno fatto a mano su un taccuino a quadretti da ingegnere, per arrampicarsi sulle valli profonde e le morbide colline di Genova». Particolarmente toccanti sono poi le parole dei sopravvissuti, a partire appunto dal signor Capello: «Mentre camminavo mi guardai indietro e vidi che il ponte era crollato. Solo allora mi sono reso conto della dimensione del disastro. Mi guardavano come se fossi un fantasma».
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