19 aprile 2024
Aggiornato 14:00
Centrosinistra

Pd spazzato via, Zingaretti e Sala pronti a prendersi le macerie: ma c'è anche chi vuole allearsi con Fico

Tra i dem siamo alla resa dei conti. Chi ha resistito alla debacle ora guarda in alto. Ma continua a tener banco il 'fronte repubblicano' di Calenda

Matteo Renzi con Nicola Zingaretti
Matteo Renzi con Nicola Zingaretti Foto: ANSA/RICCARDO ANTIMIANI ANSA

ROMA - Resiste solo il 'modello Zingaretti'. Oltre, il nulla. Il Partito democratico ricorderà la prima metà del 2018 come l'anno della fine del sogno del grande partito del centrosinistra. Perché l'unico dato certo, oltre le analisi, sono i titoli di coda che stanno scorrendo su una storia iniziata nell'ottobre 2007 da Walter Veltroni. Solo a Roma, in città dove ha conquistato i due municipi in cui si votava (il terzo e l'ottavo) e in provincia dove si è affermato in 7 comuni su 11 sotto i 15mila abitanti e in importanti cittadine sopra i 15mila come Fiumicino e Velletri, c'è ancora una parvenza di centrosinistra che resiste dopo la vittoria alle Regionali di Nicola Zingaretti dello scorso 4 marzo. Perché altrove è una vera e propria debacle. Annunciata, certo, ma non per questo meno dolorosa. E a rendere il tutto ancor più tragicomico, il finto tweet di Matteo Renzi che per qualche ora ha messo in agitazione il mondo dem: «I risultati dei ballottaggi confermano il trend negativo del Pd del primo turno. Ringrazio @maumartina, ma è evidente che dal 4 marzo questo partito ha bisogno di una leadership che, allo stato attuale, sento il dovere di riprendere tra le mani». Un fake, come si dice in questi casi, che ha costretto l'ufficio stampa del Pd, Marco Angoletti, a spiegare come «quello che vedete è chiaramente un fotomontaggio. @matteorenzi non ha mai detto o scritto nulla del genere». 

Il tweet è falso, ma la resa dei conti è vera
Non è un fake, invece, il clima da resa dei conti nel Pd. E a sguazzarci è la cosiddetta 'minoranza' dem, pronta a infierire sul cadavere. Per Andrea Orlando «c'è stato un calo verticale della capacità di attività sul territorio, che spesso è stata delegato soltanto agli amministratori. Il partito, inteso come soggetto organizzato, in molte realtà non esiste più, in altre è una sommatoria di notabilati e di comitati elettorali». Per questo è il momento di una vera fase costituente, «di una ricostruzione che si realizzi dal basso quindi, basta con le rimozioni». E quando si parla di 'base', si parla di due nomi in particolare: Nicola Zingaretti e Giuseppe Sala. Roma e Milano, anche se nel primo caso sarebbe più corretto riferirsi alla Regione Lazio. 

Zingaretti e Sala pronti a 'prendersi' il Pd
Chi non usa mezze parole per analizzare il crollo democratico sono proprio loro, Nicola Zingaretti e Giuseppe Sala: per il primo «si è chiuso un ciclo», per il secondo «bisogna andare oltre le sigle. «Dopo le allarmanti diffioltà che abbiamo attraversato» ha commentato su Facbook il presidente del Lazio «e confermate da un grande numero di ballottaggi persi nelle città italiane, non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno bastano povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso». Ed è per questo che «vanno ridefiniti un pensiero strategico, la nostra collocazione politica, le forme del partito e il suo rapporto con gli umori più profondi della società italiana, l'organizzazione della partecipazione e della rappresentanza nella democrazia». Perché «in questi anni non ci sono sfuggiti i dettagli ma il quadro di insieme. C'è un lavoro collettivo da realizzare. Deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd. È il momento del coraggio, della verità e della responsabilità». Meno 'futuribile' e forse per questo ancor più dura la lettura del sindaco di Milano che, a margine della presentazione dell'Osservatorio Milano 2018, ha attaccato: «L'esito del voto per le amministrative per il pd "un po' ce lo aspettavamo. L'aria era un po' quella. Non è stato un gran risultato, ma è in una linea di tendenza di cui ormai bisogna prendere atto. Ora si sviluppa l'ennesimo dibattito, cioè se si riparte del Pd o da qualcosa di diverso dal Pd» ha aggiunto Sala. «Ma al di là delle sigle contano gli uomini e le donne che in questo momento si tirano su le maniche con molto altruismo, senza pensare al proprio potere personale. Tanto immagino - ha concluso - che per un anno e mezzo-due ci sia solo da soffrire, quindi pensiamo a ricostruire perché i tempi non saranno certamente brevissimi».

Chi vuole un fronte repubblicano
«Le sconfitte ai ballottaggi, pesantissime anche da un punto di vista simbolico, danno l’idea di un centro sinistra che sta uscendo dalla storia dell’Italia mentre ne avremmo più bisogno». Per Carlo Calenda, colui che ha depositato il brevetto del 'fronte repubblicano' contro i populisti, «andare avanti così non si può. Dal 5 marzo abbiamo navigato a vista senza un progetto. Dobbiamo cambiare tutto: linguaggio, idee, persone e organizzazione. Andando oltre il PD e aggregando in un ampio Fronte Repubblicano tutte le forze politiche, civiche e associative che si vogliono impegnare per sostenere una proposta alternativa ai partiti che fanno parte di questo Governo. Occorre partire subito. Le elezioni politiche potrebbero non essere così lontane. È ora di darsi una mossa».

E chi vuole 'spaccare in due' il Movimento 5 stelle
In questo scenario non manca, però, chi continua a guardare più in casa altrui che in casa propria. Per Roberto Morassut, eputato e membro della Direzione Nazionale del Partito Democratico, nonchè una lunga carriera da 'veltroniano' alle spalle, «il voto  conferma che per i Democratici non esiste altra strada che aprire una 'terza fase' del loro cammino, superando il Pd attuale». E a chi dice di lavorare alla costruzione di un 'fronte repubblicano' e antipopulista, Carlo Calenda in testa, Morassut frena: «Il rischio di un confronto tra Europeisti classici ed anti europeisti sociali o tra vecchio e nuovo è altissimo, quasi certo». E allora, ecco la proposta: «Non vedo altra strada, per una nuova fase dei Democratici, che puntare a dividere e spaccare in due il Movimento Cinque Stelle tra la sua componente populista di destra e qualunquista e quella con venature democratiche e di sinistra. Dopo la costituzione di questo contraddittorio equilibrio di governo il tema mi pare attualissimo. Guardo con interesse a figure come Fico o la Grillo tra i Cinque Stelle».