29 marzo 2024
Aggiornato 13:30
M5s

La mutazione genetica del M5s: era il 2013 quando Grillo rifiutava ogni alleanza con l'allora Pdmenoelle

L'enorme cambiamento del M5s è sotto gli occhi di tutti. Solo cinque anni fa, in una condizione politica uguale a oggi, Grillo proponeva la Costituzione

Il fondatore del M5s Beppe Grillo
Il fondatore del M5s Beppe Grillo Foto: ANSA / CIRO FUSCO ANSA

ROMA - Risulta veramente sorprendente constatare il cambiamento del M5s: in appena cinque anni del movimento politico che fu non è rimasto praticamente nulla. I processi di crescita impongono mutazioni, anche profonde, ma quanto è avvenuto al M5s, nonché a Beppe Grillo, è un trasformazione genetica. Cinque anni fa, la situazione politica attuale dopo il voto nazionale non era diversa da quella odierna. Si fatica a ricordarlo in questi tempi di dura propaganda, ma l’Italia era spaccata in tre, esattamente come oggi. E come oggi ci si poneva il dilemma di dare un governo ad un paese. Ricordiamo tutti la diretta streaming di Beppe Grillo che umiliava il «povero» Bersani. Ricordiamo tutti le offerte del Partito Democratico, respinte dal M5s compattamente. Si arrivava dalla tragica esperienza del governo Monti, che ancora oggi segna la vita italiana: il Partito Democratico fu un fermo sostenitore di quell’esecutivo. Quella che Grillo impose a Bersani fu la vendetta di un paese arrabbiato e frustrato, vendetta che sconfinava nella minaccia di un cambiamento radicale.

Grillo e il parlamentarismo
Molti, quasi tutti, non ricordano infatti un ragionamento, piuttosto ardito per la verità ma con basi giuridiche, di Beppe Grillo postato sul suo blog, ad un indirizzo oggi scomparso. Differentemente da quanto il M5s sostiene oggi – governo a tutti i costi, con il Partito Democratico o con la la Lega non fa differenza – Beppe Grillo, e quindi il M5s di allora, sosteneva una posizione molto più sensata, e per molti aspetti rivoluzionariamente costituzionale: «Un Parlamento che può già operare per cambiare il Paese». Per Beppe Grillo «non è necessario un governo per una nuova legge elettorale o per avviare misure urgenti per le pmi o per i tagli delle Province», perché «il Parlamento le può discutere e approvare se solo volesse sin da domani». Ancora Grillo, versione 2013: «Si fa passare l’idea che senza Governo il Paese è immobile, congelato, in balia dello spread, delle agenzie – prosegue – ma si tace sul fatto che le leggi per le riforme possono essere discusse e approvate senza la necessità di un governo in carica». L’Italia, anche se lo dimentichiamo spesso, è una Repubblica parlamentare. E inoltre, oggi come allora, il governo c’è. La Costituzione prevede all’articolo 76: «L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato [cfr. art. 72 c. 4] al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti».

Contro il voto di fiducia come ricatto
Grillo affrontava un punto fondamentale, la disgregazione democratica in nome della governabilità: che nel tempo ha portato il Governo ad essere il motore della democrazia, e non il Parlamento. Governo che ha sempre più fondato la sua opera sui decreti legge da un canto, e sui voti di fiducia dall’altro. Imponendo così una catena ai parlamentari, timorosi sempre più – la classe politica rispecchia perfettamente il terrore del precariato come unico paradigma sociale – di dover abbandonare l’agognata poltrona. Centinaia di nullità – culturali ed etico morali – in questi anni non hanno fatto altro che votare leggi di cui non capivano nulla pur di mantenere il posto: il voto di fiducia è una minaccia, e tutti i governi della cosiddetta «Seconda Repubblica» hanno battuto ogni record di utilizzo di tale strumento. Basti pensare che, come dimostrano i dati di Openpolis, oggi il 51% delle leggi approvate dal Parlamento, e non dal governo, ha un voto di fiducia alle spalle.

Pdmenoelle al tempo
Grillo inoltre inquadrava perfettamente il problema delle Commissioni Parlamentari: «Con l’idea del 'paese congelato' - osserva - «si rallenta qualunque processo decisionale e operativo spostando sine die l'istituzione delle Commissioni senza alcun motivo se non quello di attribuire in seguito i posti di presidenza ai trombati da cariche governative». Non solo, affrontava lo stesso nodo dell’alleanza - al tempo non andava ancora di moda il pudico eufemismo «contratto» - con il Partito Democratico: «Si sottolinea in questi giorni che un mancato accordo con il Pdmenoelle (oggi Pdmenoelle è passato di moda, ndr) il miglior amico di Berlusconi, impedirebbe la rimozione di quest’ultimo dalla scena politica. Se così è – conclude – invito la cosiddetta opposizione a votare in aula l’ineleggibilità di Berlusconi, l’approvazione di una legge sul conflitto di interessi della cui assenza si gloriò Violante alla Camera, l’abolizione della legge Gasparri, la rinegoziazione delle frequenze nazionali generosamente concesse a Berlusconi da D’Alema nel 1999. Si può fare! (ma voi non lo farete mai). Il Parlamento deve riprendere la sua centralità nella vita della Repubblica».

Chi è veramente il M5s?
Sono parole incredibili se rapportate ai dieci punti annacquati del «contratto di governo sul modello tedesco» proposti al Partito Democratico. Punti in cui, come noto, tutte le spinte progressiste sono state cancellate o edulcorate al punto di risultare ininfluenti. La grande mutazione genetica è sotto gli occhi di tutti, lampante. Dove sta andando il M5s di Luigi di Maio e del nuovo Beppe Grillo? Che funzione sociale ha un’organizzazione che fa del cambiamento di idea - senza alcuna spiegazione, repentino e in qualsiasi momento, su ogni argomento -  il cuore del proprio modus operandi?