19 aprile 2025
Aggiornato 03:00
Immigrazione

Migranti, Don Zerai: lo Stato viene meno a un suo dovere

Il sacerdote indagato a Trapani sulla copertina, in un'intervista a Credere, commenta le ultime vicende in materia di immigrazione e parla dell'inchiesta che lo riguarda

Don Zerai
Don Zerai Foto: ANSA/ UFFICIO STAMPA ANSA

ROMA - «Ancora una volta lo Stato viene meno al suo dovere»: lo afferma don Mussie (Mosè) Zerai, dopo l'incontro con i dirigenti dell'assessorato alle Politiche sociali del Comune di Roma a seguito del recente sgombero dell'immobile sito nei pressi della stazione Termini, all'incrocio fra via Curtatone e via Goito nel quale dal 2013 vivevano circa un migliaio di migranti, per lo più etiopi ed eritrei. «Tutte persone in possesso o dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria o del permesso umanitario, i tre titoli legalmente riconosciuti dallo Stato», afferma in merito alla vicenda romana. Il sacerdote eritreo, indagato a Trapani per «favoreggiamento dell'immigrazione clandestina», è intervistato dal settimanale Credere del gruppo editoriale San Paolo che gli dedica la copertina del numero in edicola con la data del tre settembre.

Protezione solo sulla carta
«La protezione c'è solo sulla carta, mentre non è mai stata tradotta in pratica. All'assessorato mi hanno detto di non avere fondi per affrontare questa emergenza. Ma quella che continua a essere chiamata 'emergenza' è in realtà una situazione incancrenita da quattro anni». Quanto all'indagine trapanese, «non sono stato né convocato, né ho avuto ulteriori informazioni, nonostante che attraverso il mio avvocato abbia subito fatto sapere di essere a disposizione. Io sono tranquillo perché ho sempre agito nel pieno rispetto della legalità», afferma.

Pressioni
L'inchiesta giudiziaria avrebbe come riferimento presunte pressioni svolte dal prete nei confronti degli organi competenti nel soccorso in mare. «Non è una novità per nessuno il fatto che il mio telefono sia sempre acceso di giorno e di notte. Quando ricevo un sms, o una chiamata dal mare, cerco di capire la situazione, se ci sono donne, bambini, malati, e poi la posizione della barca, così da poter essere preciso quando allerto la centrale operativa della Guardia costiera italiana e maltese», spiega. «Solo dopo interpello anche l'Unhcr (l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) e quattro delle associazioni attive nel Canale di Sicilia: Moas, Medici Senza Frontiere, Sea Watch e Watch the Med».

Quanto accoglie l'Europa?
Allargando lo sguardo, «intanto - spiega il sacerdote che ha fondato l'associazione Habeshia - va chiarito che su 65,3 milioni di rifugiati che sono in giro per il mondo, l'Europa ne ha accolto solo il 6 per cento; il restante se lo spartiscono Africa, Turchia, Giordania, Libano, Pakistan. Con l'iniziativa Processo di Khartoum, siglata nel 2014 con i Paesi del Corno d'Africa, l'Europa ha messo a disposizione più di due miliardi di euro, di cui solo il 10 per cento viene usato realmente per lo sviluppo. Il resto serve ad addestrare militari e poliziotti, per sorvegliare i confini». E prosegue: «Finanziamo regimi - come il Sudan e l'Eritrea - governati da dittatori che negano i diritti umani, purché chiudano le frontiere; recentemente ci siamo accordati con la Libia. Ma il fatto che non arrivino più qui da noi, non significa che non ci sono più rifugiati; anzi, stiamo spingendo sempre di più queste persone nelle mani dei trafficanti. Se non vuole avere questo flusso di profughi in arrivo, l'Europa deve scegliere di combattere per i diritti di quelle persone, affinché possano vivere in condizioni dignitose nel loro Paese».