29 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Immigrazione

Immigrazione, la riforma del sistema Dublino (per ora) è una farsa

Vi ricordate quando, ne 2015, dall'Ue giunse la promessa di una riforma del sistema Dublino, che obbliga i migranti a fare richiesta d'asilo nel primo Paese d'arrivo (spesso l'Italia)? Ed ecco il risultato di quella promessa

Sbarco a Lampedusa
Sbarco a Lampedusa Foto: ANSA/ELIO DESIDERIO/DRN ANSA

ROMA - Era il 2015, l'anno passato alla storia recente come quello che ha ufficializzato la crisi migratoria in corso verso l'Europa, quando l'Ue promise di riformare il regolamento di Dublino e di costruire, finalmente, un sistema d'asilo condiviso e comune. Siamo al 2017 e queste promesse sono rimaste lettera morta. Certo, qualcosa nel frattempo si è mosso: qualcuno ha costruito muri, Bruxelles ha tentato di imporre quote di accoglienza rifiutate dalla gran parte degli Stati membri, e l'accordo con la Turchia ha chiuso la rotta balcanica, moltiplicando le traversate (com'era prevedibile) nel Mediterraneo, lungo la rotta che collega Libia e Italia. Qualcosina, in verità, si sta muovendo anche a proposito del famigerato regolamento di Dublino, quello che – per intenderci – obbliga gli aspiranti profughi a fare richiesta d'asilo nel primo Paese d'arrivo, che, per i viaggi via mare, è poi l'Italia. Peccato che quel poco che si sta muovendo non stia andando nella giusta direzione.

Criticità dell'attuale sistema
Mentre Frontex certifica come, dall'approvazione dell'accordo con la Turchia, gli arrivi in Grecia siano fortemente diminuiti mentre quelli in Italia (com'era largamente prevedibile) siano ampiamente aumentati, le proposte di riforma del sistema Dublino non sembrano in grado di rispondere alle criticità già da tempo evidenziate. Criticità che consistono non solo in un forte sbilanciamento a sfavore degli Stati dell'Europa del Sud che danno sul mare, ma anche in una scarsissima applicazione dei criteri che riguardano i legami familiari dei migranti – su cui ha sempre prevalso la regola del primo Paese d'arrivo – e nell'inattuabilità dei trasferimenti e delle rilocation da uno Stato all'altro.

La proposta
La proposta di riforma del regolamento, però, non fa altro che rafforzare tali criticità, aumentando, di fatto, la coercitività dell'approccio originario. Resta ad esempio valida la prima regola che sarebbe stato necessario cambiare, e cioè quella che prevede che sia competente lo Stato di primo ingresso nel valutare la richiesta d'asilo. Anzi, la situazione viene addirittura peggiorata: perché viene abolito il criterio della cessazione delle competenze trascorsi 12 mesi dall’ingresso «irregolare» della persona. Una norma svantaggiosa non solo per il Belpaese, ma anche per gli stessi migranti: molti di loro, infatti, hanno parenti nel Nord Europa che vorrebbero raggiungere. Così facendo, resta valido lo status quo: non vengono cioè presi veramente in considerazione elementi come la lingua, i legami familiari, sociali e culturali.

Ripartizione equa?
Anche il tentativo di ripartire equamente le responsabilità tra gli Stati membri sembra clamorosamente mancato da questa proposta di riforma. In teoria, nel caso in cui uno membro Ue si trovi ad affrontare un numero sproporzionato di domande, viene previsto un sistema di suddivisione per mezzo di un meccanismo correttivo di assegnazione basato su quote, che tengono conto soprattutto della popolazione e del Pil. Peccato che la soglia a partire dalla quale tale meccanismo viene reso operativo sia il 150%: in parole povere, ci si potrà affidare alla redistribuzione solo quando il numero di domande per cui uno Stato è competente abbia superato il 150% della sua quota di riferimento. L'«equa ripartizione», insomma, viene prevista solo in casi fortemente emergenziali e residuali, evitando accuratamente di renderla il criterio base con cui gestire l'accoglienza. Un provvedimento quantomeno ipocrita, a maggior ragione perché il sistema delle relocation ha già dimostrato ampiamente di fare acqua da tutte le parti: il numero totale di ricollocamenti effettuati dall'inizio del programma (nel 2015 si era previsto che avrebbe coinvolto 160 mila profughi) al 12 maggio scorso è di 18.418 persone, di cui 5.711 dall'Italia e 12.707 dalla Grecia. E anche le minacce della Commissione Ue di aprire procedure di infrazione nei confronti degli Stati meno generosi non hanno sortito alcun effetto, se non quello di seminare più scetticismo nei confronti dell'Ue. Se i precedenti sono questi, perché in futuro il sistema dovrebbe funzionare?

Procedure ingarbugliate
Senza contare che tale «meccanismo di correzione» prevede delle procedure a dir poco ingarbugliate: prima si procede con il trasferimento della persona presso lo Stato membro di assegnazione, poi quest'ultimo avvia la procedura di determinazione dello Stato membro competente e procede eventualmente con un ulteriore trasferimento. Si originerà così un assurdo rimbalzo di competenze che avrà l'ovvia conseguenza di dilatare le tempistiche e rendere più complicata la procedura.

Chi sbarca in Italia, resta in Italia
Infine, la proposta di riforma mira a ridurre al minimo i «movimenti secondari» dei richiedenti asilo, quelli cioè in base ai quali i migranti provano a lasciare illegalmente il Paese d'arrivo (spesso riuscendoci), per raggiungerne un altro. In parole povere: chi sbarca in Italia resta in Italia, senza se e senza ma. Il richiedente asilo non avrà alcuna possibilità di influire sulla scelta della sua destinazione, ma avrà l'obbligo di presentare richiesta d'asilo proprio dove arriva, pena l’esame del suo caso con procedura accelerata. Se tenterà di lasciare lo Stato in questione, rischierà il diniego delle misure di accoglienza. Oltretutto, sarà sempre a carico dello Stato d'ingresso lo screening preliminare della situazione dei migranti: ciò significa che saranno sempre i Paesi più esposti al flusso migratorio quelli più caricati di responsabilità.

Peggiorano le cose per l'Italia, e per i migranti
La traduzione nella pratica di questo meccanismo teorico è lampante: per l'Italia non cambierà nulla, anzi semmai le cose peggioreranno. Peggioreranno perché la proposta di riforma non cambia l'impianto generale del sistema Dublino, ma lo rende, semmai, ancora più coercitivo, relegando a mera eccezione ogni meccanismo di redistribuzione. Naturalmente, le cose peggioreranno per gli stessi migranti, che spesso si imbarcano nel Mediterraneo con la speranza di raggiungere il Nord Europa, per ricongiungersi con amici o parenti. Un'autentica ipocrisia.