Immigrazione, ecco perché il piano di Minniti sui rimpatri è già fallito in partenza
Nel piano di Marco Minniti sull'immigrazione esiste già una falla enorme: si promettono più rimpatri e più veloci, ma non esistono le premesse per realizzarli. Ecco perché
ROMA - Parola d'ordine: rimpatri. Più rimpatri, più veloci, grazie a procedure di identificazione più snelle e un modello processuale per il riconoscimento del diritto d'asilo più diretto, con un grado di giudizio in meno (rimane la Cassazione). Si potrebbe riassumere così, all'osso, il punto centrale del cosiddetto «decreto Minniti», che il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 17 febbraio. E che dovrebbe garantire un sistema di accoglienza più efficiente, nonché procedure più rapide, risolvendo almeno in parte il paradosso per cui i migranti a cui viene rifiutata ogni forma di protezione umanitaria, invece che essere rimpatriati, rimangono sul nostro territorio illegalmente, privi di identità e diritti.
Sui rimpatri mancano le premesse
Eppure, c'è almeno un punto che potrebbe fin da subito far inceppare il meccanismo. E vanificare le promesse del ministro Minniti di dare un ordine più razionale al sistema di accoglienza e protezione internazionale. Stiamo parlando della questione presentata come prioritaria nel decreto: i rimpatri. Già, perché, nonostante gli impegni presi sulla carta, le premesse perché l'ingranaggio delle espulsioni possa funzionare efficacemente proprio non ci sono.
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In Italia si nega l'asilo al 60% dei migranti
Innanzitutto, bisogna puntualizzare che, nell'ultimo anno, la percentuale di dinieghi delle richieste d'asilo in Italia è molto aumentata. Nel 2016, nel Belpaese il tasso di accoglimento delle domande d’asilo (39,4 per cento) è stato nettamente inferiore rispetto alla media Ue (61,3 per cento), e a Paesi come Svezia (69,4 per cento) e Germania (68,8 per cento), dove i richiedenti asilo provengono principalmente dalla Siria. Ciò significa che la questione rimpatri è di fondamentale importanza, se la maggior parte di coloro che sbarcano sulle nostre coste non viene riconosciuto in diritto di rimanervi.
Su 40mila irregolari, hanno lasciato l'Italia solo in 5mila nel 2016
Peccato che, secondo i dati ufficiali, lo scorso anno erano circa 40mila gli immigrati irregolari presentisul nostro territorio, di cui 30mila raggiunti dal provvedimento di espulsione. Di questi, hanno lasciato l'Italia solo in 5mila. E' evidente, insomma, che qualcosa non funzioni. Per affrontare tale criticità, il decreto Minniti si propone di accelerare le procedure di identificazione e assegnazione dell'asilo, rendendo peraltro più diffusa sul territorio la controversa rete di Cie, Centri di identificazione ed espulsione, peraltro ampiamente accusati dalle organizzazioni umanitarie di trattenere i migranti in condizioni eufemisticamente poco dignitose.
Mancano gli accordi bilaterali di riammissione
Il rischio, però, è che si ripieghi su una soluzione già sperimentata in passato e già verificata come inefficace. Per due ragioni: non solo perché le operazioni di rimpatrio sono particolarmente onerose per le casse dello Stato (così come i Cie), ma soprattutto perché le norme internazionali prevedono che, per poter espellere un migrante, debba esistere un accordo bilaterale di riammissione con il Paese di provenienza. Ed è su questo che il decreto Minniti si dimostra carente.
Tutta l'Africa sub-sahariana scoperta
Oggi, l’Italia ha concluso solo quattro accordi di questo tipo, in particolare con Tunisia, Egitto, Marocco e Nigeria. Ad essi, si aggiungano quelli stipulati dall'Unione europea (Albania, Bosnia- Erzegovina, Macedonia, Montenegro, Serbia, Ucraina, Russia, Moldova, Hong Kong, Macao, Sri Lanka, Pakistan,Turchia e Mali). Ma la stragrande maggioranza dei migranti che giungono sul nostro territorio provengono dall'Africa sub-sahariana, area pressoché scoperta da intese di riammissione. Tirando le somme, solo in due casi quegli accordi esistono per Paesi di grande flusso migratorio verso l'Italia: la Nigeria e il Mali.
L'Italia un parcheggio di migranti irregolari, persone invisibili
Secondo i dati diffusi dal Viminale per il 2016, infatti, i Paesi da cui arrivano più migranti sono Nigeria, Eritrea, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia, Senegal. Il rischio è che, procedendo in mancanza di accordi internazionali, l'Italia diventi, come già accaduto in passato, un vero e proprio parcheggio di migranti espulsi, ma di fatto non rimpatriabili, privi di diritti e prospettive: persone invisibili. Magari rinchiusi nei Centri di espulsione, o obbligati a vivere per le strade del nostro Paese nella totale clandestinità. Questa, insomma, dovrebbe essere la priorità del Governo, per poter attuare una politica di rimpatri veramente efficace. E invece, per ora, la questione è passata sotto silenzio.
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