Se il referendum ha ricompattato il centrodestra, ma per poco
Il referendum costituzionale è riuscito a riunire il centrodestra e a mettere d'accordo i suoi tre leader: Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Ma una nuova spaccatura è imminente, dopo il voto, sul nodo primarie
ROMA - Tutti dalla stessa parte, come non accadeva da tempo. Il referendum costituzionale di domenica è riuscito a compattare il centrodestra sul fronte del no: si sono riuniti Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E persino quelli che un tempo erano considerati nemici, come Raffaele Fitto o Gaetano Quagliariello. Paradossalmente, però, potrebbe essere proprio il trionfo elettorale l'inizio del big bang. In realtà, la resa dei conti è partita da tempo ma finora è rimasta sottotraccia, riemergendo di volta in volta per poi sparire, come un fiume carsico. Un redde rationem, dunque, indifferibile probabilmente anche se il ddl Boschi ottenesse il consenso degli elettori. Non c'è dubbio però che la vittoria del no accelererebbe i tempi. Con il rischio, più che concreto, di trascinare Forza Italia sull'orlo di una nuova, pesantissima, scissione.
Le ricette per il dopo referendum divergono
Le ricette per il dopo referendum dei tre leader, infatti, divergono. O meglio, sono diversi i punti di vista del duo Salvini-Meloni da una parte e di Silvio Berlusconi dall'altra. I primi chiedono che si vada subito al voto, qualsiasi sia la legge elettorale. Il secondo, invece, parla di grosse koalition e della nascita di un governo che sia chiamato - e non in breve tempo - a cambiare l'Italicum. Ed è esattamente quello il momento in cui quel che resta di Forza Italia dopo gli addii di Alfano, Fitto e Verdini potrebbe tornare a spaccarsi. Non è un mistero che vi sia un'ala più moderata e filo-governativa, che seguirebbe volentieri il Cavaliere nella scelta di sostenere un siffatto esecutivo. Ma cosa farebbe in quel caso, per esempio, Giovanni Toti?
Silvio Berlusconi e la linea soft di Forza Italia
Il governatore della Liguria da tempo sostiene la necessità di rafforzare l'alleanza con Lega e Fratelli d'Italia e non a caso ha inanellato una serie di presenze a manifestazioni con Salvini e Meloni, a cominciare da quella di Firenze organizzata dal Carroccio. Difficile, dunque, che Toti possa sposare la linea soft. E non sarebbe il solo, anche Daniela Santanché - per fare solo un nome - a quel punto potrebbe dire addio al partito azzurro. Silvio Berlusconi, per ora, si limita a ripetere il mantra della necessità di un centrodestra unito. Tuttavia, ha cominciato a fare i suoi conti. E sono legati alla legge elettorale con la quale si arriverà alle urne. L'Italicum, con il premio alla lista, di fatto costringe all'aggregazione. Ma da un po' di tempo l'ex premier, rinnegando il suo passato di convinto 'maggioritarista', ha cominciato a perorare la causa di una legge proporzionale che consentirebbe a ciascun partito di lavorare per sé.
Il centrodestra avanza verso le primarie
Con evidenti conseguenze, a cominciare dalla possibilità per Forza Italia di entrare un domani a far parte di una grossa coalizione. Tradotto: Berlusconi potrebbe continuare a fare il suo gioco (e i suoi interessi). Mentre Salvini e Meloni sono pronti a dare vita a un partito "sovranista" sul modello delle destre europee alla Lepen. C'è tuttavia anche un altro nodo che difficilmente sarà rinviabile dopo il 5 dicembre, e questo sia in caso che vincano i sì sia se dovessero vincere i no: quello delle primarie. Il leader della Lega, Matteo Salvini, è pronto a rilanciarle da subito e Giorgia Meloni ha già ipotizzato una data, il 5 marzo. Ci sta anche Raffaele Fitto. Per non dire di Giovanni Toti, anche in questo caso più in sintonia con il duo lepenista che con il leader del suo partito. Perché Berlusconi non le ha mai viste di buon occhio e certo non sembra intenzionato a cambiare idea adesso.
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