6 novembre 2024
Aggiornato 02:00
L'interpellanza del deputato Andrea Vallascas

M5S: La Cina compra mezza Italia e Renzi tace

L'Italia continua a perdere la sovranità sulla propria economia e il Governo non muove un dito. La denuncia arriva dal deputato pentastellato Andrea Vallascas che punta il dito sull'assenza di risposte del premier in merito al fenomeno crescente di investitori cinesi in settori strategici della nostra economia

ROMA - «I cinesi sono sicuramente più rapidi nel fare «man bassa» di aziende italiane di quanto lo sia il Governo nel rispondere agli atti di sindaco». Si apre così l'interpellanza del deputato del Movimento 5 Stelle Andrea Vallascas in merito alla questione delicata degli investimenti cinesi in Italia.

L'indifferenza del Governo Renzi
Il documento del deputato pentastellato è ricco di dati che testimoniano come nel giro di un anno – l'interpellanza è stata, infatti, presentata un anno fa – lo scenario non sia affatto migliorato, presentando invece elementi peggiorativi di rilievo. Quello che la documentazione denuncia è in primo luogo l'indifferenza mostrata dal governo Renzi nei riguardi della «crescente perdita di sovranità dell'Italia sulla propria economia». L'interpellanza, come si legge, nasce dall'esigenza di comprendere il punto di vista del Governo nei confronti del fenomeno in aumento della presenza di investitori di nazionalità cinese e se si sia acquisita consapevolezza delle conseguenze che gli investimenti hanno sulla nostra economia – alla luce anche del fatto che il sistema economico del nostro Paese «con il suo patrimonio di saperi e competenze, di regole e tutele acquisite, è esposto alle pressioni di un’economia, come quella cinese, con una forte liquidità e un sistema di regole e garanzie praticamente inesistenti».

A cosa punta la Cina
Vallascas non manca di sottolineare come l'economia italiana rischi di soccombere sotto il peso della potenza di investitori cinesi che sono «organismi statali» e, nello scenario internazionale, «la Cina si muove con strategie geoeconomiche». I cinesi puntano a settori delicati e importanti dell'economia nostrana, come energia, telecomunicazioni e infrastrutture. Nell'edizione 2015 del World Investment Report risulta evidente come l'Asia sia la protagonista sostanziale degli investimenti all'estero. Una analisi della banca dati Reprint, di R&P, realizzata in collaborazione con il Politecnico di Milano e l’Università di Brescia riporta che in Italia, nel 2014, vi sono 322 aziende, con 18mila dipendenti e un fatturato annuo pari a oltre otto miliardi di euro. Sempre nello stesso anno la Cina rappresenta il 27% degli investimenti esteri nel nostro Paese. Desta particolare preoccupazione, a detta del deputato M5s, il dato che vede aziende Eni, Enel, Assicurazioni Generali, Telecom, Finmeccanica avere una partecipazione cinese.

La Cina mostra i muscoli al mondo
Nel settore energetico, la serie di investimenti snocciolati nell'interpellanza dimostra come la Cina stia mostrando i muscoli agli altri competitor europei e americani: «La Cina sta occupando tasselli importanti e strategici dell’economia del vecchio continente a cominciare dall’Italia», spiega Vallascas. La mano cinese si allunga anche sul settore finanziario, con un 2% in Assicurazioni Generali, ma anche Fiat Chrisler, Telecom Italia e Prysmian vedono l'insinuarsi nelle quote degli investitori asiatici. Per farla breve – dice Vallascas dopo aver elencato diversi altri casi simili – «pezzo dopo pezzo, la tradizione manifatturiera italiana, le infrastrutture strategiche, i marchi, i nostri saperi, vengono ceduti a un sistema economico che oggi non ci dà nessuna garanzia».

Qual è la posizione del Governo?
Quello che chiede il Movimento 5 Stelle è di sapere quali siano gli accordi tra il nostro Paese e la Cina e, soprattutto, in cosa consista il ritorno delle aziende italiane in questa situazione. Quello che appare è l'assenza di una strategia di risposta da parte del nostro Governo, in conseguenza della quale l'Italia sembra sempre più ridotta ad essere una «piccola pedina nel più ampio scacchiere internazionale, dove si muovo con aggressività superpotenze e multinazionali». Intanto all'Italia manca – come sottolineato con forza nell'interpellanza – un piano industriale e una «visione prospettica di quello che sarà o potrà essere un possibile sviluppo del sistema economico». L'economia del nostro Paese, spiega ancora Vallascas, è sotto attacco su diversi fronti: subiamo l'Europa, subiamo la crisi e oggi ci troviamo a subire l'interesse di investitori stranieri. Il rischio più evidente è quello della perdita del controllo sui settori nevralgici dell'economia e la conseguente esposizione esposto delle infrastrutture del Paese ai condizionamenti dei mercati internazionali.

Cosa serve all'Italia
Come si spiega nell'interpellanza, è necessario un piano industriale che punti innanzitutto alla crescita dei settori di ricerca e innovazione: «Bisogna favorire gli investimenti privati in ricerca e innovazione è la chiave strategica per recuperare competitività», il cui fine sarebbe quello di creare nuovo lavoro ad alta qualificazione e «attivare un circuito virtuoso fra sistema pubblico di ricerca e imprese». Ma non soltanto: affrontare l'espansione economica della Cina significa anche portare avanti, in Italia come nel resto dell'Europa, una importante «riconversione delle specializzazioni produttive». Come sottolinea Vallscas, il Governo cinese ha messo in moto un meccanismo volto ad acquisire il «patrimonio intellettuale delle migliori imprese italiane».

Le soluzioni possibili
La soluzione consigliata dal deputato è quella di pensare a programmi strutturati a lungo termine, che si muovano su piani diversi. Iniziare col promuovere il «dinamismo e la riconversione dei sistemi produttivi italiani», come? Sviluppando «nuove aree di vantaggio comparato» incentrate su ricerca e innovazione. Si attiverebbe in questo modo un sistema di sostegno alla competitività in grado di garantire la ristrutturazione delle imprese nostrane. È necessario che quella tradizione manifatturiera propria del nostro Paese venga salvaguardata e migliorata attraverso l'innovazione. Che cosa sta facendo, invece, il Governo? Impassibile al problema, «svende le nostre migliori imprese al Paese che sottrae competizione all’Italia».