24 aprile 2024
Aggiornato 15:00
La Lega accusa Renzi di praticare due pesi e due misure

Busin: «Decidiamo una volta per tutte che fare con indagati e condannati»

1 poltrona su 10, in Parlamento, ospita un indagato o un condannato. E, dopo il caso Lupi, il premier è stato accusato da molti di essere garantista a sua discrezione. Secondo Filippo Busin, deputato della Lega Nord, la questione non è tanto se un indagato debba o no sedere in Aula - da valutarsi caso per caso -. L'importante è che per tutti si utilizzi lo stesso metro di giudizio.

ROMA -  1 poltrona su 10, in Parlamento, è occupata da un indagato o un condannato. E' questo il nemmeno troppo sorprendente risultato di un'inchiesta del dicembre 2014 realizzata dal Fatto Quotidiano. Così, dopo la vittoria alle primarie campane del Pd di Vincenzo De Luca, condannato per abuso di ufficio, e lo scoppiare del «caso Lupi», il dibattito tra garantisti e giustizialisti si infiamma. Perché, ogni volta che un parlamentare viene colto nei guai con la giustizia, partono le richieste corali di dimissioni, giustificate, come ha recentemente dichiarato Renzi riferendosi all'ex Ministro delle Infrastrutture, da una valutazione di «opportunità politica». Per Filippo Busin, deputato della Lega Nord, «l'importante è che si usi lo stesso peso e la stessa misura per tutti, e che non si facciano favori agli amici, e agli amici degli amici».

BUSIN: NON SIAMO GIUSTIZIALISTI, MA ODIAMO I DUE PESI E LE DUE MISURE - "Sono casi da valutare singolarmente, in ogni caso, noi non siamo giustizialisti», afferma Busin al DiariodelWeb.it. Insomma, per la Lega la questione non è tanto che un indagato sieda tra le file del Parlamento, quanto la necessità di utilizzare per tutti la medesima condotta. Cosa che il premier Renzi è accusato di non aver fatto, chiudendo fin troppo spesso gli occhi di fronte a vicende che riguardano la propria area politica. Secondo i suoi «detrattori», il premier utilizzerebbe perlomeno una evidente discrezionalità nel suo metro di giudizio. D'altronde, in Ncd Lupi - peraltro non indagato - non era l'unico ad avere motivi «di opportunità politica» per rassegnare le proprie dimissioni. Il Fatto Quotidiano ha rilevato infatti che ben il 35% del partito ha avuto a che fare con la giustizia, per abuso d'ufficio, turbativa d'asta, e addirittura concorso esterno in associazione mafiosa.

I 4 SOTTOSEGRETARI DI RENZI NELL'OCCHIO DEL CICLONE - Eppure, di nomi di indagati «illustri» se ne potrebbero fare tanti. In questi giorni, sono usciti quelli di Francesca Barracciu, sottosegretario ai Beni culturali, accusata di peculato in un’inchiesta sull’utilizzo dei fondi destinati ai gruppi del Consiglio regionale della Sardegna; Umberto Del Basso de Caro, sottosegretario alle Infrastrutture, indagato per i rimborsi del Consiglio regionale della Campania; Vito De Filippo, sottosegretario alla Salute, indagato per i rimborsi nella Regione Basilicata; Giuseppe Castiglione, sottosegretario all’Agricoltura, sotto indagine per abuso d’ufficio e turbativa d’asta per gli appalti relativi alla struttura di accoglienza siciliana di Mineo. Insieme a loro, qualcuno ha ricordato anche l'inchiesta per peculato che ha coinvolto Davide Faraone, parlamentare Pd renziano doc e responsabile Welfare della nuova segreteria del partito, ma anche quello altisonante del senatore Pd lucano Salvatore Margiotta, condannato dalla corte di appello di Potenza per corruzione - reato che Renzi si dice impegnato a contrastare.

RENZI: NESSUNO E' COLPEVOLE PERCHE' E' INDAGATO - Il governo deve essere «garantista fino al terzo grado di giudizio», ha detto il capogruppo Roberto Speranza. E lo stesso premier ha dichiarato, in riferimento ai quattro sottosegretari finiti nell'occhio del ciclone del post-Lupi: «Nessuno è colpevole perché è indagato». Eppure, qualcosa, di questo ragionamento, per i «critici» di Renzi non fila: Lupi non era nemmeno indagato, ma pare che Renzi abbia giocato un ruolo molto importante nella partita che ha portato l'ex Ministro alle dimissioni. Forse, il discrimine è proprio questo: l'opportunità politica si fa decisamente più sentire, quando certe vicende riguardano un Ministro, e per di più un Ministro come quello delle Infrastrutture, coinvolto in uno scandalo che, di fatto, potrebbe pregiudicarne la stessa affidabilità. Così, Lupi è tornato a essere un semplice parlamentare, tra i tanti che, come lui, hanno, indirettamente o direttamente, conti aperti con la giustizia. Ma la questione resta aperta: saremo pure garantisti, ma come non essere turbati dal pensiero che 1 parlamentare su 10 è condannato o indagato, ma rimane saldamente abbarbicato alla propria poltrona?