L’Italia non è un paese per dissidenti
Crescono i malumori nei partiti. Ma sale anche l’insofferenza verso chi avanza critiche: Renzi si scaglia contro Rosi Bindi e Beppe Grillo mette sulla graticola altri due senatori
Insomma in questo Paese è lecito avanzare delle critiche e manifestare il proprio dissenso ? Oppure si rischia di essere «fuori», come dice Grillo? Intanto sul dissenso bisogna mettersi d’accordo di che epoca stiamo parlando. Prima del ’68 se un ragazzo si permetteva di criticare il proprio padre si prendeva una bella sberla e andava bene se la sera trovava la cena. Dopo il ’68 se un padre si permette di criticare il figlio si becca un bel «vaffa» e va bene se il ragazzo o la ragazza tornano a dormire in casa quella notte.
Diciamo quindi che per quanto riguarda la famiglia il dissenso è sistemato. Dove invece sta prendendo pieghe del tutto inaspettate è in politica.
Anche qui bisogna fare un passo indietro. Al tempo del Partito comunista italiano esisteva il «centralismo democratico», che in pratica voleva dire: se osi avanzare anche la minima critica ai capi vuol dire che non vuoi bene ai lavoratori di tutto il mondo, quindi fai bene a non pensarci nemmeno. Sempre meglio degli allora amici del Pci, i comunisti di Praga, che al semplice sospetto di dissenso mettevano in azione una di quelle purghe per le quali sono diventati famosi che voleva dire: adesso ci fai il piacere di autoaccusarti pubblicamente delle tue colpe, che così ti facciamo fuori più comodamente.
Naturalmente le purghe di Praga non vanno confuse con l’olio di ricino griffato Mussolini, né con il confino a Ponza o Ventotene, o con i 16 anni prigione a Paietta, o con l’eliminazione di Matteotti.
E che esagerazioni. Magari qualcuno sta pensando: vedi dal dissenso dove siamo andati a finire. Torniamo quindi ai giorni nostri e chiediamoci: è lecito che Rosi Bindi dissenta da Matteo Renzi? Fortunatamente non viviamo più quei tempi che abbiamo accennato sopra e quindi la Bindi ha tutta la facoltà e il diritto di dissentire.
Come noi abbiamo tutto il diritto di chiederci: ma come mai Rosi Bindi continua a stare sulle prime pagine dei giornali? Che cosa ha fatto di così rimarchevole per meritarselo? Andiamo a memoria: quando era democristiana si era messa in mostra perché aveva ritenuto opportuno di informarci che non praticava il sesso. Erano i tempi che per una notizia di questo tipo scorrevano fiumi di inchiostro, e infatti di lì a poco venimmo a sapere che anche Roberto Formigoni custodiva gelosamente la sua verginità.
Da ministro della Sanità, Rosi Bindi ha messo la sua firma ad una riforma del rapporto fra medici e ospedali. Ora non sappiamo se per la colpa della Bindi, ma è noto che è meglio non avere bisogno con urgenza di un intervento perché la risposta più frequente: è torni fra un anno. O domani, se ha i soldi per pagarsi l’operazione.
Poi la Bindi divenne presidente del Partito Democratico principalmente perché era d’obbligo assegnare una poltrona di prestigio ai cattolici presenti in quel partito. Disarcionata dallo scranno più alto del Pd, la Bindi è rimasta per poco a terra perché, quasi contestualmente, la Commissione parlamentare antimafia ha fatto sapere che non poteva fare a meno della sua presidenza. Finora nell’antimafia la Bindi si è fatta notare soprattutto per i suoi silenzi, ma eccola riprendersi lo spazio dei primi piani nel capeggiare il dissenso del partito nei confronti del segretario e premier del governo Matteo Renzi.
«Hanno tentato di farmi fuori, ma dall’altra parte c’erano quelli di un’altra generazione e c’era la Bindi, ecco perché ho vinto io» è stato il commento di Renzi dopo l’approvazione della legge elettorale».
E sbaglia anche lui perché invece di entrare nel merito del dissenso lo liquida dicendo in pratica: quelli che non sono della mia generazione devono stare zitti.
Vogliamo riconoscere un merito a Berlusconi? Le sue amazzoni lo hanno spernacchiato sulla parità di genere e lui non ha battuto ciglia. Ossia forse le ha battute, ma con tutto quel cerone nessuno se ne è accorto.
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