12 ottobre 2025
Aggiornato 11:00
Centrosinistra

D’Alema, io più leale di Renzi

L’ex presidente del Consiglio nega di avere fatto a suo tempo lo sgambetto a Prodi. «Ben diverso oggi il comportamento di Matteo con Letta». Intanto Brunetta avverte: con il sindaco premier niente riforme

Ha resistito per giorni, probabilmente mordendosi i celeberrimi baffetti, ma poi Massimo D’Alema ha preso carta e penna e finalmente ha svelato  per filo e per segno quali intrecci politici lo portarono ad occupare la poltrona di Palazzo Chigi che un tranello parlamentare e i calcoli sbagliati del fido Arturo Parisi avevano sfilato da sotto le terga di Romano Prodi.

«Si tratta di vicende e situazioni profondamente diverse» ha precisato D’Alema a proposito della staffetta di governo odierna e poi ha aggiunto: «Io, nonostante quello che si va dicendo in giro da anni, non ho tradito, anzi ho cercato fino all’ultimo di salvare Romano. Tutt’altra faccenda è quella che sta accadendo in questi giorni, che infatti non è assolutamente paragonabile con il mio comportamento di allora».

La stoccata di D’Alema è arrivata proprio nelle ore in cui Enrico Letta e Matteo Renzi erano a colloquio per vedere di mettere la parola fine al braccio di ferro che li oppone praticamente da quando il sindaco di Firenze è stato nominato segretario del Partito Democratico.

Poiché è molto difficile che D’Alema se ne esca a freddo e senza un piano preciso su questioni che ormai fanno parte della storia, è probabile che questo suo rivangare il passato abbia voluto essere l’ultimo avvertimento utile per sbarrare la strada a Renzi o l’ avvisaglia di una prima tagliola sul cammino della nuova squadra di governo.

Finora il duello a distanza fra Renzi e Letta si è svolto sotto il segno di una cortina fumogena all’interno della quale è stato difficile scorgere quali vantaggi il Paese avrebbe potuto trarre da un accantonamento anticipato del Presidente del Consiglio. D’altro canto il sindaco di Firenze, pur lanciando chiari segnali di insoddisfazione riguardo l’efficienza del governo, sono settimane che ripete di non avere mire egemoniche, ma di avere a cuore unicamente l’interesse degli italiani, la realizzazione delle riforme, gli interventi a favore dell’economia.

Il 3 febbraio scorso in una intervista alla Repubblica, Matteo Renzi, in risposta al giornalista Claudio Tito che gli poneva la domanda: «Letta, fino a quando durerà?» tagliò corto sulle chiacchiere di Palazzo che lo indicavano prossimo a mettersi alla guida del governo, per affermare con determinazione: «Questa legislatura può durare fino al 2018, ma deve affrontare con decisione i problemi veri. Il problema non è il nome del premier, che per quanto mi riguarda si chiama Enrico Letta, ma le cose da fare. Io mi occupo di queste, non di altro».

Sul piano delle cose da fare è difficile dire che cosa sia cambiato a distanza  di meno di dieci giorni da quella affermazione , tanto da indurre il presidente della Repubblica a chiamare a rapporto i due contendenti per obbligarli a trovare al più presto una soluzione. Anzi, il presidente del Consiglio è ancora convinto che la sua azione e le sue decisioni fossero perfettamente con il quadro delineato senza incertezze da Renzi.

E’ sul piano politico che invece le cose hanno preso tutt’altra piega, poiché Renzi ha di fatto stipulato per se quel patto di legislatura tanto invocato da Letta, portando in dote alla stabilità del sistema l’adesione dei montiani, una probabile scissione di Sel, un pacchetto di transfughi da Grillo e il tacito assenso di Alfano.

Quella che Renzi ha messo insieme è una insalata mista che non deve essere dispiaciuta a Napolitano se il presidente della Repubblica, dopo aver visto i due ha sentenziato «adesso deve decidere il Pd». E chi è il Pd oggi, se non la maggioranza di cui gode nel partito Matteo Renzi?

A questo punto, saltata anche la tutela del Colle su Enrico Letta, la vittoria di Matteo Renzi appare netta.

Ma ecco che da sinistra, inaspettato, riappare Massimo D’Alema, forse a ricordare che quei cento dieci dal volto coperto che votarono contro Prodi al Quirinale potrebbero nuovamente materializzarsi ed essere in grado di guastare più di un progetto.

Mentre da destra parte il primo siluro di Renato Brunetta che a nome di Forza Italia dipinge questa evoluzione dell’accordo sulle riforme istituzionali appoggiato da Berlusconi: ««Ve lo immaginate  un governo con una doppia maggioranza? Una maggioranza Renzi, forte fortissima, magari con l'apporto di grillini in fuga o di Sel, per governare come un governo di sinistra, e una maggioranza con Berlusconi per fare le riforme istituzionali? E’ un corto circuito che non può andare da nessuna parte».

E’ come dire che per la faticosa ricerca di una stabilità politica in Italia ogni giorno ha le sue pene.