5 maggio 2024
Aggiornato 22:00
Le dimissioni del leader leghista

Dalla Lega Lombarda al «Family gate», per Bossi 30 anni da Capo

Oggi si è compiuto l'ultimo atto del più antico partito personale esistente. La sfida è capire se la scelta di nominare il senatùr «Presidente» e lanciare un triumvirato fino al congresso servirà a salvare il Carroccio

ROMA - Anche nelle intercettazioni telefoniche, in cui cadono le barriere e si rischia di sbracare, chi lo ha infine costretto a dimettersi lo chiama semplicemente «il Capo». Ecco quindi che le dimissioni di Umberto Bossi da segretario federale della Lega rappresentano qualcosa in più di una circostanza storica, sono il big bang della Lega Nord. Di fatto, la fine del partito così come conosciuto negli ultimi ventisei anni, forse la fine di una storia in cui Bossi è la Lega, la Lega è Bossi. Certamente l'ultimo atto del più antico partito personale esistente. La sfida, ora, è capire se la scelta di nominare il senatùr «Presidente» e lanciare un triumvirato fino al congresso servirà a salvare il Carroccio.

Fin troppo facile sembra oggi ricordare il cappio esposto ai tempi dell'assalto a Craxi, la nemesi di una Lega giustizialista travolta da accuse che lambiscono Umberto e la famiglia. E però in origine il Carroccio è proprio questo, partito di lotta, giustizialista, anti sistema, per lunghi tratti secessionista e anti nazionale. Ma è soprattutto la storia di un perito elettronico diventato «il Fondatore», «il Capo», per tutti il senatùr.

Bossi, varesotto di Cassano Magnago, classe 1941, da ragazzo vicino all'estrema sinistra, fonda nel 1982 la Lega Autonomista Lombarda, di cui diviene segretario. Lo accompagnano nell'avventura un giovane Roberto Maroni e Giuseppe Leoni. Dopo un vano tentativo di approdare in Parlamento nel 1983, l'anno successivo lancia la Lega lombarda. Al suo fianco c'è già la moglie, Manuela Marrone. Nel 1987 l'approdo in Senato, da lì e per sempre il titolo di senatùr.

Il vero salto di qualità è datato 1989, quando Bossi fonde i movimenti autonomisti del Settentrione e dà vita alla Lega Nord. Arriva il 1992 ed esplode Tangentopoli, la Lega e i missini sono fra i principali sponsor del Pool di Milano. L'immagine del cappio agitato in Aula da Luca Leoni Orsenigo fotografa la storia leghista di quei mesi. Anche il Carroccio e il suo fondatore, in realtà, pagheranno successivamente un prezzo nel corso del processo Enimont.

Il 1994 è l'anno dell'approdo al governo, al traino del Cavalier Silvio Berlusconi. Questa volta il fotogramma è quello di Bossi in canottiera, a Porto Cervo, in trasferta sarda dal Cav. Quattro mesi dopo staccherà la spina al primo esecutivo Berlusconi e arriverà a un passo dalla rottura definitiva con Maroni. Perdonerà lo strappo di Roberto, unico caso di un partito durissimo con gli eterodossi. Sono i giorni del ribaltone, per mesi Berlusconi diventa il «grande fascista di Arcore» e «l'uomo della mafia». Toni violentissimi fino al 1996 e anche oltre, quando il Carroccio sposa la linea della corsa solitaria alle politiche, del Parlamento del Nord, del secessionismo spinto almeno nei simboli, dei media «padani», del 10% di consenso nazionale. Poi, repentina, la nuova svolta.

Il 2001 Umberto ricuce con Silvio e ritorna al governo. Paga un prezzo altissimo, la Lega tocca la drammatica soglia del 3,9%, Bossi diventa ministro delle Riforme.
Tutto scorre liscio fino all'11 marzo 2004, il vero spartiacque della Lega. Il senatùr sfiora la morte, vittima di un ictus. La lunghissima riabilitazione segnerà mesi difficilissimi per il capo, accompagnato dai figli (in particolare Renzo, che diventerà consigliere regionale lombardo), dalla moglie Manuela, da Rosy Mauro. E in quella fase che va coagulandosi quel gruppo di bossiani che verrà denominato dai media «Cerchio magico». Un'area che secondo i detrattori stringerà Bossi a tal punto da condizionarne negativamente scelte e politica.

Di nuovo all'opposizione nel 2006 durante il governo Prodi, Bossi e la sua creatura politica tornano al governo del Paese nel 2008, sempre con Berlusconi a Palazzo Chigi. Il senatore è di nuovo ministro, così come Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Luca Zaia. Per la prima volta il Carroccio conquista anche le Presidenze di Veneto e Piemonte. E' il sogno dell'egemonia sul Nord. Poi iniziano i guai, questa volta di natura interna, il durissimo braccio di ferro fra maroniani e cerchio magico.
E' uno scontro drammatico, rimasto per anni sottotraccia, che secondo alcuni ha origine nei mesi immediatamente successivi alla malattia del Capo, quando l'incertezza fa sbandare il movimento e alimenta interrogativi sulla leadership. In una prima fase la Lega riesce a mantenere nascosta la guerriglia interna, per i bossiani l'unica colpevole è la stampa e una strategia mediatica finalizzata a spaccare la Lega. Poi lo scontro emerge in tutta la sua violenza nel 2011 e culmina nelle contestazioni subite dal senatùr - evento fino a quel momento inimmaginabile - durante il congresso di Varese. Momento culminante è la guerra sul nome del capogruppo della Camera, un braccio di ferro che porta alle dimissioni di Reguzzoni e che sancirà un temporaneo riavvicinamento con Maroni dopo il clamoroso editto 'anti Bobo' (che gli vietava di prendere parte a eventi pubblici della Lega), rimesso in discussione attraverso una rivolta della base.

La fine del governo Berlusconi e l'avvento dell'era Monti spingono il Carroccio alla corsa solitaria e silenziano per un po' la disfida. L'ultimo atto è il caso degli investimenti in Tanzania, in cui compare il nome del tesoriere Belsito. Fino alla cronaca, alle perquisizioni delle ultime ore, al «Family gate» che travolge la segreteria di Bossi. Le parole che accompagnano il senatùr alla porta descrivono tutto il conflitto interno alla Lega e raccontano del dramma politico del Capo, criticato per aver dato più spazio alla «Lega di famiglia» che a quella di via Bellerio: mi dimetto, ha spiegato, «per tutelare l'immagine del movimento» e «della famiglia». Le due «creature» di Bossi che non riuscivano più a stare assieme.