5 maggio 2024
Aggiornato 21:30
Dimissioni irrevocabili del leader leghista

Lega, partito lacerato, base sgomenta. Bossi lascia e chiude un'era

Maroni contestato dai «cerchisti», ma l'operazione «pulizia» continuerà. La mazzata di questi giorni appare tremenda, e di portata ancora da verificare sul piano del consenso, alla vigilia delle elezioni amministrative

MILANO - Con le sue «irrevocabili» dimissioni Umberto Bossi chiude un'era: la sua rinuncia alla guida della Lega, che ha fondato e portato al successo, per molti leghisti è un momento tragicamente storico, per un partito che si è identificato in maniera assoluta con «il capo». «Bossi è la Lega e la Lega è Bossi», è sempre stato uno dei leit motiv di una buona parte dei militanti. E oggi la domanda, e la sfida del triumvirato Maroni-Calderoli-Dal Lago che condurrà il partito fino al Congresso federale finalmente fissato (entro l'autunno) è se la Lega saprà reinventarsi dopo il ritiro del suo inventore.

BASE SGOMENTA - La mazzata di questi giorni appare tremenda, e di portata ancora da verificare sul piano del consenso, alla vigilia delle elezioni amministrative: l'inchiesta Belsito, con il coinvolgimento della famiglia Bossi, «avrà ripercussioni», ha ammesso lo stesso Maroni. E ha lasciato sgomenta buona parte dalla base: delusione, tristezza, rabbia nei commenti sui social network, non controbilanciati dai pur numerosi messaggi di sostegno al nuovo corso e di voglia di riscatto. Il Carroccio subisce enorme danno d'immagine, destinato ad avere un peso specifico ancora maggiore per una formazione politica che ha conquistato consenso puntando sui valori dell'onestà e della trasparenza, in contrapposizione alla «Roma Ladrona» dei partiti della prima e seconda Repubblica.

PARTITO DIVISO - Ma Bossi lascia anche un partito diviso al suo interno, tra i fedelissimi, anche se ridimensionati, bossiani e i cosiddetti «rinnovatori»; lacerazioni evidenti ancora oggi, con Maroni contestato in via Bellerio da un gruppo di bossiani di ferro, vicini al cosiddetto «cerchio magico».
Sulla possibile futura leadership, in pole position c'è Roberto Maroni. Anche se c'è chi, tra i bossiani, osserva che il senatùr «la Lega se la porta nella tomba, se Maroni vuole esserne il leader se ne deve fare un'altra». In ogni caso, l'ex ministro dell'interno punta a rilanciare il partito e andare al Congresso». Il suo messaggio è che è «importante salvaguardare l'immagine del partito» e di continuare l'opera di «pulizia» interna. Quel che è certo, dice uno dei «rinnovatori» vicini a Maroni, è che con l'uscita di scena di Bossi arriva «la fine del Cerchio magico», perché «gli verrà a mancare la sua protezione». E comunque, fanno osservare, «ci sta pensando la magistratura».

LA LEGA E' BOSSI - Sul fronte «bossiano» invece, la delusione è cocente. «A queste condizioni io in Lega non ci sto più e come me tanti altri. Per me Lega è Bossi. Quando Bossi non ci sarà più la Lega è morta», è lo sfogo di un militante della prima ora, che oggi ha platealmente stracciato la tessera. I bossiani però non sono del tutto convinti che il «capo» si sia messo da parte per sempre: «Le dimissioni le ha date perché ha in mente qualcosa, ha una sua strategia: fa uscire tutto il marcio che c'è nella Lega e poi si ripresenta al congresso». Versione opposta dei «rinnovatori»: «Sono state le notizie di oggi sulle intercettazoni a far precipitare tutto. A quel punto Bossi si è reso conto che gli è sfuggito di mano tutto».