31 luglio 2025
Aggiornato 11:30
Il Premier al Senato

Il vulcano del debito non è quello di Villa Certosa

Il tanto vituperato euro ci ha consentito finora di contenere i danni tenendo i tassi di interesse vicini allo zero. Colpevolmente non solo non ne abbiamo approfittato, al contrario ci è sembrata l’occasione buona per fare altri debiti. Ora i professori proveranno a bloccare la colata. Ma a scottarci le dita saremo solo noi

Il governo Monti e la democrazia - Ha ragione Berlusconi, quando afferma che con il governo Monti si è prodotto un vulnus alla democrazia?
Dal punto di vista formale certamente no. L’azione del Presidente della Repubblica per la formazione del nuovo governo è stata condotta all’insegna di un rigoroso rispetto costituzionale.
Quanto alle dimissioni della coalizione guidata da Berlusconi esse si sono rese indispensabili a causa di una conta fatale sul rendiconto generale dello Stato, provvedimento di rilevanza costituzionale, che peraltro era stato già bocciato in una precedente formulazione.

Chi ha tradito Berlusconi - Senza contare che il Capo dello Stato aveva mostrato di non voler forzare la mano in occasione di precedenti e ripetuti incidenti di percorso parlamentari della maggioranza, avendoli giudicati di portata non determinante.
Quindi sono stati i numeri (Berlusconi li chiama «traditori») a disarcionare l’ex premier e non un colpo di mano alla democrazia. Altrimenti non si spiegherebbe l’avallo parlamentare che Berlusconi ha garantito all’avvio del governo dei tecnici.
Quindi nessuna ferita alla democrazia? Si e no. Dato atto della correttezza di Napolitano, a guardare quello che è accaduto non si può ignorare che da questa vicenda la democrazia in Italia non è uscita scalfita, ma nemmeno indenne. Se per democrazia si intende il volere del popolo.

Come è stata gestita la crisi parlamentare della ex maggioranza - Nessuno può negare che in altre circostanze, e senza il fuoco dei mercati alla porta, di fronte all’impasse parlamentare del governo Berlusconi sicuramente il presidente della Repubblica si sarebbe comportato ben diversamente.
Accertato che la mancanza di numeri non fosse dovuta ad un venir meno delle alleanze, e quindi ad un mutato quadro politico, avrebbe dovuto rispedire il premier uscente davanti al Parlamento per verificarne la tenuta alla guida di una squadra diversa. Solo dopo la sconfitta di questa versione riveduta e corretta, e in assenza di una solida maggioranza alternativa, avrebbe dovuto, infine, sciogliere le Camere e rinviare il giudizio agli elettori.

La pressione dei mercati - C’erano le condizioni per fare tutto questo? No, purtroppo le condizioni non c’erano. Ed è sul venir meno di queste condizioni che tutti gli italiani si dovrebbero soffermare. Sia quelli hanno salutato con inni alla libertà l’uscita di Berlusconi, sia quelli che l’hanno vissuta come un esproprio dei diritti legalmente acquisti con una consultazione elettorale e quindi come una offesa alla democrazia.

Il debito ci ha tolto un pezzo di sovranità nazionale - Non bisogna infatti dimenticare che la crisi che ha determinato l’ assenza di condizioni indispensabili ad una serena gestione di una capitolazione parlamentare vengono sì da lontano, da un sistema finanziario globale avido e privo di regole, ma che a farne precipitare gli effetti non sono stati i subprime americani, l’Islanda, l’Irlanda o la Grecia, ma è stata proprio la questione italiana. Laddove per questione italiana si deve intende, ne più né meno, che » il debito pubblico italiano».

Tutti gli sforzi se ne vanno in interessi - Non è da oggi che il debito pubblico italiano viaggia intorno ai 1900 miliardi di euro. Ai tempi della lira aveva già toccato i due milioni di miliardi, una cifra che si faceva fatica a calcolare mentalmente, e infatti per non sopportare lo sforzo gli italiani, dai comuni cittadini ai loro governanti, per decenni hanno preferito accantonare il pallottoliere.
Ben prima che lo spread facesse gli sfracelli che sta facendo, l’Italia ogni anno si è dovuta togliere dalle tasche, cioè dalla ricchezza prodotta, settanta miliardi di euro per far fronte a quel debito.
Qualcuno può dire di aver visto traccia nel Paese, nel circuito dell’informazione, nelle affermazioni dei politici, nei discorsi fra gli amici, un cenno a questo macigno che da tempo immemorabile siamo costretti a trascinarci dietro? Di avere ascoltato una proposta per risolvere il problema?

Vivere al di sopra dei propri mezzi - Ci sarà o no una ragione ad avere determinato questo oblio collettivo? E’ stato come se in una famiglia ogni anno per coprire i debito se ne andassero tutti i risparmi e nessuno si chiedesse, «ma se un giorno ci ammaliamo come facciamo a tirare avanti?». Ebbene con il blocco della crescita ci siamo ammalati e ora chi ci ha prestato i soldi non si fida che siamo in grado di restituirglieli.
Piuttosto ci dovremmo chiedere come abbiamo fatto ad andare avanti per tutto questo tempo a camminare con spensieratezza sul ciglio di un burrone. Come abbiamo potuto pensare addirittura di aumentare quel debito, visto che in una parentesi virtuosa era sceso al 110 del Pil, ma poi lo abbiamo riportato al 120.

Gli indignados non hanno preso soldi a prestito - Ora, per continuare con gli infingimenti, qualcuno sta introducendo un altro trucchetto: confondere gli «Indignados di Madrid o di New York che giustamente si scagliano contro i mali della finanza e gli speculatori della Borse, con l’indignazione all’italiana che tende ad addossare la colpa dei guai che stiamo vivendo alle trame di oscuri gnomi che si aggirerebbero nel sistema bancario internazionale.
E’ bene chiarirla una volta per tutte questa faccenda. Gli interessi che ci strozzano non sono frutto di maligni usurai. Sono l’effetto di avere preso soldi a prestito senza freni, per sprechi grandi e piccoli, privilegi grandi e piccoli, furti grandi e piccoli, appropriazioni indebite grandi e piccole.

Il salvagente dell’Euro - Il tanto vituperato euro ci ha consentito finora di contenere i danni tenendo i tassi di interesse vicini allo zero. Colpevolmente non solo non ne abbiamo approfittato, al contrario ci è sembrata l’occasione buona per fare altri debiti. E dio solo sa a che punto saremmo oggi senza la muraglia cinese alzata negli ultimi due anni da Giulio Tremonti. Un ministro al quale, se non altro che per questo unico merito, sarebbe dovuto andare in questi giorni un minimo di riconoscenza poiché tutti sappiamo che è un rigore che il suo stesso partito gli ha fatto pagare ben caro.

Il vulcano del debito non è quello di Villa Certosa - Berlusconi ha ragione sicuramente su un punto. La montagna del debito pubblico non l’ha prodotta lui, ma l’ ha ereditata. I veri untori del debito si chiamano le buon’anime di Andreatta e Craxi e il vivo e vegeto Andreotti, ai quali si devono le famose rassicurazioni : «che problema c’è? Il debito è tutto interno, è una faccenda fra lo Stato e i suoi cittadini».
Il resto lo dobbiamo al passato consociativismo fra Dc e Pci, con il carico da undici dei sindacati.
Berlusconi ha, però, la colpa di avere scambiato questo vulcano per quello finto che si è fatto costruire a villa Certosa. Nell’equivoco ha poi spinto gli italiani a ballare felici e seminudi sulla bocca di un cratere che credeva spento. Invece era più che mai vivo.
Ora i professori proveranno a bloccare la colata. Ma a scottarci le dita saremo solo noi.