Il round finale
Il dibattito visto da un pub del New Jersey
Doveva essere la serata dei colpi di scena, degli assi nelle maniche, del forcing finale. L’occasione buona per dimostrare agli americani, o meglio agli elettori ancora indecisi, di fare la scelta giusta il prossimo quattro novembre.
Doveva essere la serata di John McCain. Il senatore dell’Arizona aveva promesso che avrebbe dato del filo da torcere al suo rivale. Dall’altra parte Obama, consapevole del vantaggio accumulato sinora, aveva lasciato intendere che avrebbe giocato la partita «safely» (prudentemente).
Abbiamo seguito il dibattito da un ESPN cafè di Trenton (New Jersey), uno di quei posti dove la classica famiglia middle class va a vedere le partite di football e bere litri di birra. Ma stasera, qui a Trenton, come del resto in gran parte del Paese, non c’è tempo per guardare una dozzina di colossi rincorrere un pallone. I tanti schermi che riempiono la sala (sono ovunque, in ogni direzione immaginabile in cui gli occhi possano andare) sono tutti sintonizzati sull’altro scontro, quella tra Obama e McCain: l’ultimo round.
Il terzo ed ultimo dibattito presidenziale, tenutosi la scorsa notte presso la Hofstra University di Hempstead, New York State, è stato senza dubbio il più vivo ed appassionante di quelli visti sinora. I due contendenti hanno mantenuto la parola data. McCain in modo particolare, ha iniziato la sua lunga serie di attacchi dopo pochi minuti, finendo solo al momento dei saluti. Sembrava stesse leggendo una lista troppo lunga per essere ricordata, attaccando Obama su tutti i fronti: tasse, assistenza sanitaria, spot televisivi, aborto, rapporti con Bill Ayers, crisi economica. Dall’altra parte, il senatore dell’Illinois è rimasto calmo e tranquillo come suo solito, non rispondendo agli attacchi personali, affermando che sono ben altre le cose che interessano agli americani, palesando l’usuale carisma.
Le parole di Obama sono state coerenti ed in linea con la strategia democratica adottata sin dall’inizio di questa campagna elettorale. Barack ha citato i timori della gente per la grave crisi finanziaria, affermando che gli americani vogliono andare avanti, voltare pagina, sperare in un futuro diverso dagli ultimi otto anni; continuando a legare il nome di McCain con quello di Bush. A questo punto è arrivato il momento migliore per il candidato repubblicano il quale ha affermato che lui e il presidente Bush sono due persone diverse e dunque se il senatore democratico ci tiene cosi tanto a sfidare e confrontarsi con il presidente, avrebbe dovuto candidarsi quattro anni fa.
Protagonista inaspettato della serata è stato «Joe the plumber (l’idraulico)», citato cosi tante volte da McCain in pochi minuti da renderlo familiare al pubblico. Joe è un idraulico che il Senatore Obama ha incontrato la scorsa domenica durante un public event in Ohio, e che in quella circostanza aveva chiesto se il piano finanziario di Obama prevedesse aumenti di tasse per le piccole e medie imprese. Joe rappresenta la tipica middle class americana, quella a cui John McCain ha cercato di rivolgersi e conquistare la scorsa notte, con scarsi risultati tuttavia. McCain, infatti, ha affermato che gli americani sono molto hungry (infuriati), spesso apparendo lui stesso come uno dei più incavolati.
I fuochi d’artificio promessi da McCain non ci sono stati. Anche se si è trattato della sua miglior apparizione pubblica, perlui, che aveva preannunciato che avrebbe affrontato il dibattito con l’energia di un wrestler, non è bastato. Per tutti i novanta minuti non c’è stato un momento che avrebbe potuto cambiare le idee degli americani, cambiare l’andamento di un elezione che sembra essere sempre più orientata verso l’elezione di Obama. I novanta minuti di McCain sintetizzano quella che è stata la sua intera campagna: piena di messaggi inconsistenti, concentrandosi su episodi e dettagli che gli elettori ritengono poco importanti, spesso fuori tema (in questo l’oscar va alla Palin) nel dare una risposta.
La strategia repubblicana sembra essere contraddittoria: in settimana l’annuncio di uno swing, evitando attacchi personali ad Obama, definendolo un uomo rispettoso, cittadino americano di cui non bisogna aver timore; e la scorsa notte il dietrofront, ritornando nuovamente sulla questione di Ayers. Si è passati da «Joe six pack» (espressione usata per indicare il tipico padre di famiglia) a «Joe l’idraulico». Who’s next? Dall’altra parte invece, Obama continua a cavalcare l’onda, sfruttando il vento che soffia in suo favore, muovendosi molto cautamente (non c’è motivo di rischiare). Sembra ormai che anche i timori legati alle questioni etniche e di appartenenza siano superati. La strada che porta al quattro novembre sembra essere in discesa per Obama.
Daniele Diana
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