28 aprile 2024
Aggiornato 08:30
gig economy

I food-riders sono dei lavoratori autonomi

Il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso dei food-riders: non sono lavoratori dipendenti, ma autonomi

TORINO - Avevano protestato contro le dure condizioni di lavoro, erano stati allontanati dall’azienda e avevano fatto ricorso in tribunale. Ora, quel tribunale - quello di Torino - ha respinto il loro ricorso, dando ragione all’azienda. E’ la «breve storia triste» di sei ex fattorini di Foodora, i cosiddetti food-riders che vediamo spesso aggirarsi tra le nostre strade a qualsiasi ora del giorno e della notte, vestiti di una divisa rosa fluorescente, per distinguersi dagli altri. Una flotta silenziosa che consegna cibo a domicilio, all’ombra della gig economy, l’economia dei lavoretti esplosa con internet.

Il giudice dei riders, Giulia Druetta, aveva avanzato la richiesta di un risarcimento di 20mila euro per ciascuno di loro, dopo essere stati cacciati dall’azienda dopo le proteste svoltesi a Torino circa un anno fa - le prime in Italia - e relative a paga oraria, reintegro, assunzione e contributi previdenziali non goduti. Una flotta di uomini più o meno giovani guidati da un algoritmo e controllati da esso «come si trattasse di un vero e proprio lavoro subordinato», ha detto l’avvocato Giulia Druetta. Esserci sempre, quando l’algoritmo chiamava. A qualsiasi orario, che poteva essere anche modificato senza preavviso dall’azienda tedesca.

Per il tribunale, che ha dato ragione a Foodora, non esiste alcun rapporto di subordinazione. L’applicazione può accedere unicamente al dato sulla geolocalizzazione, istantaneo e non memorizzato. Inoltre, sempre secondo i legali dell’azienda di food delivery, i rider accedono alla piattaforma dei turni e decidono autonomamente quando e in che misura dare la loro disponibilità. Insomma, nei «contratti» dei food-riders non ci sono obblighi, né da parte del lavoratore, né da parte del datore di lavoro.

I food-riders, quindi, almeno secondo il tribunale del lavoro di Torino (il primo a pronunciarsi in una sentenza di questo tipo), sono lavoratori autonomi e non dipendenti. Così come sono sempre stati inquadrati dalle aziende, con contratti di collaborazione o, appunto, di lavoro autonomo. Ovviamente stiamo parlando della parte operativa, poiché la struttura gestionale è un altro paio di maniche e viene spesso assunta con un contratto di lavoro subordinato ordinario. Stiamo però parlando di contratti creati sulla base di prestazioni che oggi non rappresentano la realtà. «L’attuale sistema di inquadramento che prevede sostanzialmente 'subordinazione', 'collaborazione' e 'autonomia', pensate per una realtà imprenditoriale, commerciale e giuridica ormai non più aderente alla realtà, non soddisfa le esigenze e peculiarità di queste nuove attività - ci racconta Francesco Rotondi, avvocato giuslavorista di LabLaw Studio Legale con cattedra alla LIUC – Università Carlo Cattaneo di Castellanza e unico giuslavorista inserito nella classifica dei 40 avvocati under 50 più influenti d’Italia -. Non si tratta di lasciare o meno dei «vuoti», bensì di disciplinare in modo aderente al mercato che si vuole regolamentare. Non è più tempo per regole generali, comuni a pioggia».

Si discute, infatti, da tempo se servano o meno nuove formule contrattuali volte a disciplinare fattispecie completamente nuove che sono nate sulla scia di internet e dell’app economy. Questi servizi, tuttavia, ricadono nella cosiddetta ‘zona grigia’ che chiama a un'adeguata riflessione il legislatore, i sindacati, le organizzazioni datoriali e il mondo dell’associazionismo affinché si contribuisca tutti a dare cittadinanza, e dunque un nuovo orizzonte di tutele e diritti, ai nuovi lavoratori. Su questo fronte sta intervenendo l’Unione Europea con una proposta di legge. L’idea della Commissione è di allargare  il perimetro di attuazione dell’attuale Direttiva europea sui contratti (la cosiddetta Written Statement Directive) a tutte le forme di impiego, come i lavoratori a chiamata, voucher e i lavoratori della gig economy o su piattaforme online. Si tratta essenzialmente di estendere a tutti i lavoratori il diritto di essere informati sui loro diritti e doveri nel momento in cui vengono assunti.

Le proteste, i dibattiti e le iniziative legislative non sono, tuttavia, bastate per porre un freno al mercato del food delivery che, invece, è cresciuto a ritmo esponenziale. Deliveroo, l’altra famosa piattaforma di consegne di cibo a domicilio, ha recentemente affermato di ricevere oltre 1000 richieste a settimana da parte di ragazzi che vogliono essere «assunti» come fattorini. Stando a queste informazioni solo nell’ultimo mese il numero di rider che collabora con Deliveroo è aumentato di 300 unità. Con gli ordini in costante crescita (18 volte superiori rispetto al 2017). Dal canto suo l’azienda londinese si è sempre tenuta molto distante dalle proteste, affermando che si trattava di un piccolo gruppo di sovversivi e che, invece, la maggior parte dei suoi collaboratori era soddisfatto e felice di lavorare per Deliveroo, soprattutto i ragazzi giovani, per mantenersi gli studi. La cosa più bella è la flessibilità, hanno detto.