19 aprile 2024
Aggiornato 09:30
Gran Bretagna

Boris Johnson prova a resistere: «Non mi dimetto»

Il primo ministro britannico Boris Johnson si è difeso con le unghie e con i denti oggi ai Comuni, di fronte alle critiche dell'opposizione laburista. Ma anche nel suo partito situazione tesa

Il Premier britannico, Boris Johnson
Il Premier britannico, Boris Johnson Foto: Unione Europea

LONDRA - Il primo ministro britannico Boris Johnson si è difeso con le unghie e con i denti oggi ai Comuni, di fronte alle critiche dell'opposizione laburista, nell'attesa del rapporto investigativo dell'alta funzionaria di Whitehall Sue Gray sul Partygate, lo scandalo sulle feste tenute a Downing Street durante i vari lockdown anti Covid. L'unico che rischia davvero di compromettere la sorte futura del premier conservatore.

Dopo una mattinata di informazioni contraddittorie su quando questo rapporto sarà reso pubblico, la stampa britannica ritiene che potrebbe accadere già oggi o al piu giovedì ma senza nessuna certezza. Prima il report dovrà essere consegnato a Downing Street.

Accusato di aver mentito ed esortato a farsi da parte durante il settimanale question time davanti ai deputati, il 57enne leader dei Tory ha rifiutato di commentare le indagini in corso e ha respinto qualsiasi ipotesi di dimissioni, cercando di cambiare spesso argomento. Incalzato da tutte le parti, in un'atmosfera rovente, Johnson ha più volte difeso il suo operato, vantando i successi, in primis quello di aver portato a compimento l'accordo per la Brexit, e della campagna vaccinale e affermando di volersi concentrare sulla ripresa economica e sulla crisi in Ucraina.

Il leader laburista Keir Starmer lo ha accusato di «disprezzare» il Paese e lo ha esortato a lasciare ricordandogli che nel Regno Unito, il premier deve dimettersi se ha ingannato il parlamento. Il riferimento è al fatto che Boris avrebbe mentito ai deputati dicendo loro aver sempre rispettato le regole sanitarie e di non aver partecipato a nessuna festa. Ma ancora una volta l'ardua sentenza è affidata al report della Gray che gode di una chiara fama quanto a capacità, determinazione e incorruttibilità.

A Starmer, è seguito un altro rabbioso appello alle dimissioni da parte del deputato laburista Ian Blackford ai Comuni. Blackford ha detto che ogni momento in cui Boris Johnson rimane in carica «è un prolungamento dell'agonia per le famiglie» che hanno rispettato le regole del Covid durante la pandemia prima di esortare i parlamentari conservatori a «mostrare la porta al primo ministro».

In risposta, Johnson ha detto che Blackford ha fatto lo stesso punto la scorsa settimana prima di aggiungere lapidario: «Ha torto allora, e torto ora e non ho intenzione di fare quello che suggerisce».

Ad aumentare la tensione, da ieri si è aggiunta l'inchiesta di Scotland Yard che sta indagando su diversi «eventi» al fine di stabilire se vi siano state «potenziali violazioni delle norme relative al Covid», passibili di sanzioni.

Anche all'interno della maggioranza conservatrice di Boris Johnson, la rabbia cresce. Se finora è sfuggito a un voto di sfiducia, che può scattare su richiesta di 54 (su 359) deputati Tory, Boris Johnson resta in una posizione molto delicata.

Alcuni hanno già pubblicamente chiesto che si faccia da parte. Altri frondisti stanno aspettando il rapporto Gray per decidere se tentare o meno la sorte di un voto di sfiducia per cacciare il loro leader. Resta da vedere se verrà pubblicato integralmente, oppure in una versione più leggera.

Vero è che il Partygate lo ha fatto precipitare in una crisi senza precedenti. La popolarità del premier, che era uscito trionfante alle elezioni del 2019, è in netto calo nei sondaggi - il partito perde oggi fino a 10 punti a vantaggio del laburisti.

Per cercare di rimediare, Johnson ha annunciato da giovedì la revoca delle ultime restrizioni legate al Covid, sperando di riconquistare il favore dell'opinione pubblica e di una parte dei suoi da sempre ostili alle limitazioni imposte dal governo per arginare i danni della pandemia.

Ma regolarmente, nuove rivelazioni arrivano a mettere in difficoltà il leader britannico. Ultima in ordine di tempo la festa organizzata dalla futura moglie Carrie al numero 10 in occasione del suo compleanno, il 19 giugno 2020, durante il primo lockdown. Prima di questo c'era stato il party del maggio dello stesso anno, che Boris ha scambiato, a suo dire, per un evento di lavoro. Poi i due party di addio di altrettanti dipendenti alla vigilia delle esequie del principe Filippo, nell'aprile del 2021. E poi altri ancora. A non tutti Boris era stato invitato, ma era sempre il padrone di casa.