26 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Il giornalista Maurizio Blondet si è fatto un'idea precisa

«Vi spiego chi sono i mandanti morali dell'attentato alla metro di San Pietroburgo»

Le indagini sono ancora in corso e gli elementi da chiarire sono ancora tanti. Ma il giornalista Maurizio Blondet ha un'idea precisa di chi siano i «mandanti morali» dell'attentato a San Pietroburgo

MOSCA - Chi è stato? Questa è la domanda che aleggia in Russia, ma anche in Occidente, dopo l'attentato di ieri a San Pietroburgo, che è costato la vita a 14 persone e ha ferito 59 persone. L'identikit diffuso del presunto killer non sembra, al momento, fornire tutte le risposte. E se ancora sono tanti i punti da chiarire, qualcuno sembra avere già le idee chiare. Addirittura c'è stato chi, qui in Italia, ha puntato il dito contro lo stesso Vladimir Putin, accusandolo di essere promotore di una «strategia della tensione» per scoraggiare oppositori politici e non dopo i disordini degli ultimi giorni. Al concetto di «strategia della tensione» fa riferimento anche il giornalista Maurizio Blondet, ma a suo avviso «i mandanti morali» non sarebbero russi. Tutt'altro. 

Quei messaggi sospetti apparsi su Twitter e Telegram
Il Cremlino ha fatto sapere di ritenere quanto accaduto a San Pietroburgo una «sfida» a Putin. Ma il disastro pare essere stato annunciato. Come spiega Blodent, sette ore prima dell’attentato, su un profilo Instagram registrato da un utente a nome «Sdegno» compariva la fotografia di un involucro di cartone e la seguente scritta: «Da tempo qui non accade un attentato, oggi accadrà. Aspettatevelo». Quindi, su Telegram campeggiava un'immagine patinata con una minaccia rivolta alla Russia scritta in inglese, «Kill them where you find them», e l'hasthag «#we_will_burn_Rusia». L'immagine ricorda molto la grafica di Dabiq, la rivista patinata dell'Isis in lingua inglese.

Il caso dell'emiro del Qatar
E' stato l'Isis quindi? Può essere, ma, anche se fosse, basterebbe questo per comprendere quanto accaduto? Chi si nasconde ancor più dietro le quinte? Blondet ha le idee chiare. Per suggerire la risposta ai suoi lettori, il giornalista ripercorre tre episodi piuttosto esemplificativi. Il primo riguarda il Qatar e l'Egitto. Perché l'emiro del Qatar – scrive Blondet – avrebbe stanziato 200 milioni di dollari per uccidere il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sissi. La notizia giunge dal giornale libanese Ad-Diyar, secondo cui il Qatar avrebbe mobilitato un gruppo dei Fratelli Musulmani. Messo in allarme, Al Sissi  avrebbe lanciato  un ultimatum, minacciando di bombardare Doha.  L’emiro del !atar, Tamim ben Hamad, avrebbe dunque ricevuto l’ultimatum «attraverso un paese terzo». Chi è questo «mediatore»? Guardacaso, secondo il giornale libanese, gli onnipresenti servizi statunitensi.

Tra Ankara e Mosca, gli Usa
La seconda vicenda cui Blondet fa riferimento riguardano i rapporti tra Mosca e Ankara. Rapporti sempre più complicati, come dimostra la dichiarazione del vice ministro Arkady Dvorkovich, secondo cui «I turchi si ostinano a ostacolare il regolare svolgimento dell’esportazione dei nostri convogli di grano e cereali. Potrebbe seguire una reazione da parte nostra ad ogni momento.  Tuttavia si spera in un ritorno alla ragione da  parte turca. Del resto dovrebbero cominciare colloqui per  la soluzione dei problemi e  noi lavoriamo  perché un incontro abbia luogo». Poche ore dopo da quella dichiarazione, raid russi hanno colpito in Siria, ad Idlib,   i terroristi   Jaïsh al-Islam et Ahrar al-Cham   nella località di Babasqa. Una località vicinissima al confine turco, al punto che alcuni osservatori ritengono i caccia russi abbiano sconfinato. Terroristi su cui, per Blondet, Erdogan «contava per ritagliarsi  un pezzo di Siria  da smembrare».

I piani a stelle e strisce sulla Siria
A seguito di quanto accaduto, il «sultano» si starebbe riavvicinando agli Stati Uniti. Non sarebbe un caso che, a gennaio, il segretario alla Difesa Usa James Mattis avrebbe mandato 400 marines in Siria passando dalla Turchia, e quindi con il sostegno di Erdogan. Secondo i russi, gli Usa sarebbero intervenuti a Raqqa per poter disporre della divisione della Siria creando entità federali dopo la guerra. Gli europei, dal canto loro, non vorrebbero riconsegnare il territorio liberato da Daesh al regime di Damasco. Quanto a Israele, scrive Blondet: «E’ appena il caso di ricordare   gli attacchi aerei israeliani  in violazione di ogni diritto in Siria, secondo Damasco  sarebbero un «tentativo disperato», da parte di Tel Aviv, di «sollevare il morale» di Daesh, «distogliendo l’attenzione dalle vittorie che l’Esercito Arabo Siriano sta ottenendo contro le organizzazioni terroristiche», si legge in un comunicato ripreso da Press TV. Sembra che un caccia israeliano sia stato abbattuto dureante queste operazioni; cosa che Sion nega. Ricordiamo anche il recente colloquio voluto da Netanyahu con Putin, pieno di coperte minacce».

L'Isis, il Frankenstein creato dagli amici degli americani
Quindi, Blondet ricorda anche le parole di Wesley Clark, l’ex comandante supremo NATO in Europa, che  guidò la guerra alla Serbia ai tempi di Clinton . Alla CNN il 21 febbraio 2015, disse: »..Abbiamo reclutato Zeloti e estremisti  takfiri», creato  «un Frankenstein»; e aggiunse: «L’ISIS  è stato creato dai nostri alleati per battere fino alla morte Hezbollah».

Chi è il mandante morale?
I tre episodi ricordati da Blondet vedono una costante: la presenza, più o meno palese, degli Usa nel «muovere le fila». Indovinate un po' chi, secondo il giornalista, è il «mandante morale» dell'attentato a San Pietroburgo. Un indizio: «Cercate uno Stato, o un superstato, che ha l’abitudine di ammazzare all’estero. Che da vent’anni destabilizza, sovverte,  arma terroristi.  Che anche in questi giorni fa strage di civili in Yemen.   Che infrange e calpesta il diritto internazionale, e non riconosce la legittimità di  Stati che,  a  a suo arbitrio, definisce nemici. Cercate uno stato o un superstato che   compie false flags, che  impone sanzioni alla Russia, che ha creato il Frankenstein  e l’IS; che ha dato l’esempio malvagio, spingendo altri stati alla certezza che si può violare il diritto internazionale impunemente».