Se l'Isis mette gli occhi sul Medio Oriente
I fatti di Tel Aviv riportano l'attenzione sul travagliato conflitto israelo-palestinese. I cui equilibri potrebbero essere letteralmente sconvolti dalle mire dell'Isis, una minaccia per entrambe le parti
TEL AVIV - Gli ultimi attentati a Tel Aviv, perpetrati da due palestinesi che hanno aperto il fuoco al mercato di Sarona uccidendo 4 persone e ferendone altre 16, riportano l'attenzione sull'infinito e tragico conflitto tra israeliani e palestinesi. Hamas si è subito rallegrata per l'attacco, mentre la risposta di Israele non si è fatta attendere: il premier Benjamin Netanyahu, dopo aver promesso «misure offensive e difensive», ha infatti deciso di dispiegare centinaia di uomini di rinforzo in Cisgiordania, in aggiunta alle truppe già schierate. Non solo: sono stati sospesi tutti gli 83mila permessi d’ingresso in Israele rilasciati ai palestinesi in occasione del Ramadan.
Giorni di allerta
In effetti, non sono stati giorni qualunque, gli ultimi trascorsi nei tormentati territori israelo-palestinesi. Lo scorso 5 giugno, Israele celebrava il Giorno di Gerusalemme proprio mentre gli arabi si preparavano al sacro mese del Ramadan. Il Giorno di Gerusalemme ricorda la conquista di Gerusalemme Est, zona della città a maggioranza palestinese, da parte dell’esercito israeliano, durante la guerra dei sei giorni combattuta tra il 5 e l'11 giugno 1967. In occasione della festività, Israele ha schierato 1200 poliziotti, mantenendo alta l'allerta attentati.
Fattore Isis
Ma a preoccupare Israele non sono solo possibili attentati da parte di Hamas o dei palestinesi: perché nel consueto scontro tra Israele e Hamas - con in mezzo l'ambiguo ruolo di «mediatore» del Cairo - potrebbe inserirsi addirittura l'Isis. I timori di una sua espansione nella striscia di Gaza derivano dal fatto che, sin dalle ultime fasi del conflitto di Gaza del luglio-agosto 2014, vari gruppi antagonisti o scissionisti da Hamas e dal Palestinian Islamic Jihad (Pij) avevano cominciato ad adottare una strategia in competizione con quella del gruppo leader nella Striscia, favorendo man mano un pericoloso spostamento dei movimenti salafiti verso posizioni ideologicamente affini a quelle di Daesh.
Le mire dell'Isis su Gaza
Il che non sarebbe poi una novità: le mire del Califfo verso la regione di Gaza furono palesate già in un video dell’aprile 2014, in cui alcuni membri dell’organizzazione affermavano di «voler conquistare attraverso il jihad i territori di Giordania, Libano, Striscia di Gaza e della penisola del Sinai». Da allora, ciò che sembrava solo una minaccia ha assunto una sempre maggiore concretezza. Lo scorso maggio, ad esempio, l’ex ufficiale delle Forze della Difesa israeliane Yoav Mordechai ha parlato di un impegno dell’Isis a Gaza nell'addestrare i guerriglieri di Hamas. Ma ancora prima, durante i 50 giorni dell’operazione Protective Edge a Gaza tra il luglio e l’agosto 2014, il servizio di sicurezza interno israeliano aveva messo in guardia le autorità su una possibile infiltrazione di formazioni filo-Isis nel caso di una decapitazione israeliana dei vertici di Hamas. L’indiscrezione aveva trovato una conferma anche sul campo, quando nel pieno del conflitto i gruppi filo-Daesh erano già operativi in attività di propaganda e in operazioni militari nei confronti delle infrastrutture strategiche e civili dell’entroterra meridionale israeliano.
Isis, un pericolo anche per Hamas
Del resto, a favore di una penetrazione di Daesh a Gaza gioca l’incredibile instabilità dell’area, con il sostanziale stallo dei lavori di ricostruzione post-conflitto, il proliferare dei traffici illeciti, e l’interdipendenza tra i gruppi interni e esterni a Gaza e quelli del Sinai. In pratica, se i jihadisti dovessero riuscire a infiltrarsi stabilmente nella Striscia, avrebbero accesso diretto anche nella penisola egiziana. Non che Hamas sia rimasta a guardare: al contrario, il gruppo ha perpetrato una politica di arresti verso i movimenti più radicali, portando a una vera e propria spaccatura ideologica e dottrinale con i salafiti. Hamas è infatti accusata, dai più estremisti, di voler abbandonare la lotta con Israele, ed è pertanto diventata a sua volta obiettivo di attacchi nelle proprie postazioni militari, culminati con l’uccisione nel 2015 del responsabile della sicurezza Sabah Siam. L’Isis, dunque, rappresenta un pericolo non solo per Israele, ma anche per Hamas, che nei decenni ha tentato di costruirsi un profilo di legittimità, che perderebbe nel caso in cui frange estremiste riuscissero a orientare l’opinione pubblica.
Una convergenza straordinaria
E poi c'è l'Egitto. Perché anche Il Cairo avrebbe moltissimo da perdere nel caso di un'infiltrazione dell'Isis a Gaza, terreno fertile per un contagio di violenza verso la penisola del Sinai. Pertanto, il gigante nordafricano si trova a portare avanti un pur non ufficiale riavvicinamento con la leadership politica di Hamas, parallelamente alle operazioni di distruzione dei tunnel tra Rafah e la Striscia. In pratica, il pericolo Isis rappresenta una straordinaria convergenza di interessi per Israele, Hamas, ed Egitto, che sarebbero pertanto pronti a cooperare da dietro le quinte per scongiurare il nefasto scenario. Non a caso, si rincorrono voci che vorrebbero Israele impegnata in trattative segrete – che hanno portato tra le altre cose alla rottura del governo di unità nazionale con l’Anp di Abu Mazen –, con l’obiettivo di istituire una tregua di 5-10 anni con Hamas. Perché tra quest’ultimo e lo Stato islamico, Tel Aviv sa che patteggiare con il nemico di sempre è il male minore.