17 agosto 2025
Aggiornato 23:30
Dossier su piccola porzione della Slesia ancora da dirimere

Polonia e Repubblica Ceca, ancora aperta disputa territoriale

Un'annosa questione sulla ridefinizione dei confini fra Repubblica ceca e Polonia - con Varsavia che chiede la restituzione di 368 ettari di terreno - rischia di avvelenare i rapporti fra i due paesi.

PRAGA - Un'annosa questione sulla ridefinizione dei confini fra Repubblica ceca e Polonia - con Varsavia che chiede la restituzione di 368 ettari di terreno - rischia di avvelenare i rapporti fra i due paesi.

Il governo di Praga, in realtà, attraverso il ministero dell'Interno, un preliminare progetto di restituzione lo avrebbe già predisposto, ma a opporsi con veemenza sono le amministrazioni comunali e regionali ceche, vicine al confine, con l'assoluta maggioranza dei loro abitanti, che di rinunciare a parte del territorio non ne vogliono proprio sapere.

Per capire le origini di questa vertenza bisogna risalire agli anni '50 del secolo scorso, quando fra la Polonia e l'allora Cecoslovacchia venne stipulato un accordo diretto a dirimere la precedente questione di Tesin, vale a dire quella parte della regione storica della Slesia, che i due paesi continuavano a rivendicarsi reciprocamente sin dalla fine della Prima guerra mondiale e la disgregazione dell'Impero austroungarico.

Con il trattato governativo del 1958 e le reciproche concessione territoriali, il confine fra i due stati sembrava comunque essere stato tracciato in maniera definitiva. Una tranquillità apparente, durata sino al 1989, quando, dopo la caduta della cortina di ferro, la Polonia tornò a sollevare la questione, dicendo - dopo una serie di accertamenti - di dover ancora ricevere 358 ettari di terreno.

La stampa ceca per dare una idea più precisa di tale estensione, ha sottolineato che si tratta di un'area pari a 90 volte la Piazza Venceslao, Vaclavske namesti, il grande slargo situato nel centro della capitale della Repubblica ceca.

Il governo Praga nel 1992 - quando esisteva ancora la Cecoslovacchia, in quel clima di distensione, seguito alla rivoluzione di velluto e caduta dell'impero sovietico, riconobbe come fondata la richiesta polacca, promettendo in futuro di assecondarla. Meno di un anno dopo, il primo gennaio del 1993, la Cecoslovacchia si è divisa in Repubblica ceca e Slovacchia. Fatto sta che trascorsi più di venti anni - la linea di frontiera con la Polonia è rimasta inalterata.

Fallito il tentativo di soluzione attraverso un indennizzo finanziario - che Varsavia ha rifiutato, chiedendo il rispetto delle proprie rivendicazioni territoriali - il ministero dell'Interno di Praga sta da qualche mese sta sondando senza successo la disponibilità dei comuni di frontiera a cedere parte del loro suolo.

L'ultimo no è giunto in settimana dal Chrastava, un centro di seimila abitanti, della Regione di Liberec, nel nord della Repubblica ceca, che dovrebbe concedere 52 ettari di area boschiva. Il consiglio comunale si è espresso in forma unanime, facendo sapere che non se ne parla neanche. Il sindaco Michael Canov ha dichiarato che il ministero dell'Interno, «solo a immaginarla una cosa del genere, non difende i nostri interessi nazionali». E minaccia di rivolgersi alle più alte cariche dello stato per bloccare tutto.

«Per cambiare i confini del nostro paese - ha detto Canov - è necessario una legge di rango costituzionale, non basta una iniziativa del ministero dell'Interno e un eventuale parere favorevole del governo. Abbiamo controllato le nostre mappe catastali e tutti i terreni del nostro comune ci appartengono da almeno 11 secoli».

Per ora non si registrano a Praga reazioni della parte polacca, ma - con il «nuovo corso» nazionalpopulista avviato a Varsavia dal governo di Beata Szydlo - non è difficile immaginare che i commenti non saranno dei più benevoli.

(con fonte Askanews)