20 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Muammar Gheddafi non abbandonerà mai il potere

Jalil a Roma: Raid insufficienti, già 10mila morti

Sì alla cooperazione economica, Frattini: «Manca ancora exit strategy». Ora si tratta di capire quali sono gli strumenti per aumentare la «pressione militare»

ROMA - Muammar Gheddafi non abbandonerà mai il potere «se non sarà costretto a farlo con l'uso della forza». E' l'avvertimento del leader degli insorti libici, il presidente del Consiglio nazionale di transizione Mustafa Abdul Jalil, oggi a Roma per incontri ai massimi livelli istituzionali. Nella sua prima visita all'estero da quando ha assunto l'incarico, Jalil è stato ricevuto in mattinata dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e dal ministro degli Esteri Franco Frattini che si è impegnato a «spiegare agli altri Paesi europei e del mondo perché anche loro dovranno presto riconoscere - come ha fatto l'Italia - il Cnt da cui nascerà la nuova Libia».

La situazione sul terreno è ancora critica. La Nato ha fatto sapere di aver lanciato la notte scorsa diversi attacchi contro i centri di comando delle forze del leader libico Muammar Gheddafi, anche nella regione di Tripoli. Mentre il presidente Jalil ha parlato a Frattini di «diecimila morti», «vittime di un regime sanguinario» e di oltre «50-55mila feriti» nelle città «martiri» come Misurata, come ha riferito il titolare della Farnesina.

I raid aerei della coalizione «non sono sufficienti a proteggere i civili» ha detto chiaramente il responsabile esteri del Cnt, Ali al Isawi che accompagnava Jalil, «contiamo molto sul ruolo italiano e su una maggiore partecipazione». «Quello che speriamo dagli amici italiani è una maggiore pressione militare su Gheddafi per spingerlo a lasciare il paese» gli ha fatto eco il suo presidente, parlando con i giornalisti al termine di un pranzo con la Comunità di Sant'Egidio che nelle ultime settimane ha parecchio favorito i contatti fra governo italiano e società libica.

Ora si tratta di capire quali sono gli strumenti per aumentare questa «pressione militare». L'Italia, insistendo sul contributo già in atto all'operazione Unified Protector, continua a escludere la via dei bombardamenti per via del rischio di effetti collaterali, come l'uccisione di civili da parte degli ex colonizzatori. Quanto alla fornitura di armi, Frattini ha ribadito che «la risoluzione 1973 non vieta l'aiuto in termini di strumenti per l'autodifesa del popolo libico» come attrezzature per le intercettazioni, radar o rivelatori notturni; e rimane «perplessa» sulla fornitura di armi vere e proprie.

Su questo sarà necessaria - proprio in occasione della prossima riunione del Gruppo di contatto che Roma ospiterà il 2 maggio - una «più seria riflessione» fra gli alleati, ha riaffermato il titolare della Farnesina davanti alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Sul piano politico-diplomatico, del resto, la situazione è tutt'altro che rosea. Nonostante tutti i tentativi di mediazione «più o meno ufficiali» portati avanti nelle ultime settimane, «non vi è ancora una via d'uscita politica definita» per la crisi, ha ammesso Frattini.