27 aprile 2024
Aggiornato 02:00

In Usa sanità rinnovata, in Italia sanità saccheggiata

Ecco perché il 60 per cento degli americani teme il modello europeo

Mentre tutto il mondo riconosce ad Obama il merito di avere conseguito una vittoria storica, essendo riuscito in un’impresa invano tentata dai suoi predecessori per oltre un secolo, in Italia si torna a parlare di scandali in camice bianco: il ministro della Salute, Ferruccio Fazio ha infatti annunciato di avere avviato una indagine per verificare l’esistenza di un danno erariale di circa 243 milioni di euro che sarebbe stato provocato fra il 2004 e il 2008 dall’acquisto da parte della Regione Lazio di farmaci salvavita pagati a prezzo pieno, nonostante fosse in vigore una legge che prevedeva ampi sconti.
Quello dei farmaci è l’ultimo di una serie di assalti alla diligenza sanitaria, culminati nei giorni scorsi con l’arresto dell’ex vicepresidente della Regione Puglia, Sandro Frisullo, accusato di avere preso soldi dall’imprenditore Giampaolo Tarantini per agevolare gli affari di quest’ultimo con ospedali e Asl.

Quando si legge che il 60 per cento degli americani è contro la riforma sanitaria voluta da Obama e votata nei giorni scorsi dal Congresso Usa, si può star certi che l’avversione dei cittadini a stelle e strisce è in gran parte motivata dal timore che il loro sistema venga inquinato dalle pastoie burocratiche e dagli scandali che caratterizzano il mondo in camice bianco europeo, ma soprattutto quello italiano.
Dal punto di vista dell’etica, ma per molti versi anche dell’efficienza, è un rischio che gli americani è giusto che corrano. Non era più sostenibile che il Paese che detiene una leadership planetaria e che è impegnato a diffondere la democrazia anche con l’aiuto delle armi, continuasse a tenere fuori dagli ospedali e dall’assistenza medica 46 milioni di persone, cioè quasi il 15 per cento della sua popolazione.
La decisione del Congresso di approdare ad una forma di assistenza sanitaria che accetta, perlomeno in parte, il principio che la salute non sia solo un bene, ma anche un diritto, è stata anche l’occasione per guardare nelle faccende di casa nostra al di là del facile quanto errato compiacimento perché gli americani ci avrebbero copiato.
A parte il fenomeno degli scandali (anche se la loro frequenza fa pensare più ad una patologia che a episodi marginali) il servizio sanitario italiano resta uno dei migliori del mondo, secondo quelle stesse classifiche che il altri campi non ci lesinano sonore bocciature. Il suo punto debole resta, però, principalmente la disomogeneità territoriale. A seconda del luogo dove ci si ammala si può finire in situazioni da sottosviluppo o in strutture di eccellenza in grado di primeggiare nel mondo. Si passa infatti dai casi frequenti di malasanità ai primati della laparoscopia chirurgica. Si va da ospedali fatiscenti, soprattutto al Sud, all’Istituto per lo studio e la cura dei tumori di Milano o al Policlinico S. Matteo di Pavia. Mentre si può morire (è successo) per una banale operazione alle tonsille, a Perugia c’è un centro per la cura dei tumori del sangue il cui unico concorrente è a Perth in Australia.
Recentemente trenta cardiochirurghi della New York University sono sbarcati a Milano per confrontare il sistema sanitario Usa con quello italiano e sono tornati a casa con la convinzione che da noi la sanità costa meno ed è più efficiente.

Ma allora perché gli americani hanno tanto paura di somigliarci? Intanto perché il termine «socialista» negli Usa suona come una offesa ed Obama, proprio grazie a questa riforma che ha voluto a tutti i costi, si è visto appiccicare questo epiteto non solo dai suoi avversari ma anche da non pochi compagni di partito. Questo sebbene il sistema introdotto dal Congresso non abbia nulla a che vedere con il modello europeo e tanto meno con quello italiano: infatti la sanità in Usa resta privata e il governo entra in gioco solo come mediatore ( o sostenitore) fra gli utenti meno abbienti e le compagnie di assicurazione.
Sono distinzioni che non sono bastate a togliere dalla testa del 60 per cento degli americani la convinzione che non solo dovranno pagare più tasse, ma dovranno anche subire l’ingerenza della mano pubblica nelle loro faccende private.
E’ un timore fondato?
Se si guarda al modello italiano non si può che rispondere affermativamente.
La sanità brucia buona parte dei bilanci regionali e il risultato ha un affetto più che evidente nelle tasse pagate dagli italiani, che non a caso sono fra le più alte in Europa.
Inoltre la politica ha messo pesantemente le mani sulla sanità fino a controllare meccanismi che hanno a che fare direttamente con la nostra salute.
Clamoroso è il caso della scelta dei primari nei reparti chirurgici la cui competenza spetta al direttore sanitario, il quale, come si sa, è nominato dalle maggioranze politiche del momento. Al personale medico è lasciata unicamente la facoltà di stilare una rosa di venti nomi, ma è poi il direttore sanitario, nella maggior parte dei casi privo di una qualsiasi nozione di medicina , a stabilire in nome del primario. Né la sua ignoranza in fatto di medicina gli toglie la facoltà, stabilita per legge, di prendere l’ultimo nome inserito nella rosa dei venti e portarlo al primo posto.
Non certo a questo che aspira la riforma di Barack Obama, ma questo è quello teme il 60 per cento degli americani.
Intanto però ci sono 40 milioni di cittadini del primo paese al mondo che possono guardare ad un ospedale come a un rifugio e non come a un luogo per ricchi.
E’ un risultato il cui valore non può essere ignorato. Ai difetti ci si penserà domani.