19 aprile 2024
Aggiornato 10:00

Oggi la visita di Obama in Messico: focus su lotta alla droga

Per la prima volta Usa si riconoscono... parte del problema

Città del Messico - Alla vigilia del summit delle Americhe di Trinidad e Tobago, il presidente americano Barack Obama sbarca oggi a Città del Messico. Al centro della prima visita del capo di stato americano in America Latina si pone la lotta al narcotraffico, tema chiave delle relazioni bilaterali tra i due paesi. Altre questioni in evidenza, il contenzioso commerciale e il nodo, sempre attuale, dell'immigrazione.

Preceduto in Messico da significativi viaggi del segretario di stato Hillary Clinton, della responsabile della National Security Janet Napolitano e del ministro della giustizia Eric Holder, Obama ha chiarito a più riprese la sua intenzione di cambiare radicalmente l'approccio americano nei confronti del narcotraffico dei cartelli messicani.

Con una svolta profonda nei confronti della tradizionale politica di Washington, infatti, Obama ha chiarito di voler colpire i narcos e lo spaccio di droga anche sul territorio americano (gli Usa, ovviamente sono i primi 'clienti' dei cartelli). Sinora la dottrina ufficiale, a Washington, era sempre stata quella di considerare la questione 'narcotraffico' un problema locale, da combattere e risolvere esclusivamente sul territorio messicano. Coerentemente con questo nuovo approccio l'amministrazione Usa ha già ordinato il rafforzamento dei controlli alla frontiera - 3000 lunghissimi chilometri - e per la prima volta i doganieri americani hanno avuto l'ordine di verificare con scrupolo anche merci, risorse e persone in uscita dagli States per individuare subito i flussi di denaro o i carichi di armi destinati ai narcos messicani.

Se non sei la soluzione... sei il problema, dicevano i vecchi 'radical' americani', e la novità dell'approccio dell'amministrazione Obama sta precisamente in un'assunzione inedita di responsabilità. Rosanna Fuetes-Berain, dell'edizione spagnola di Foreign Affairs, sottolinea: «per la prima volta da decine d'anni a questa parte, gli Usa hanno accettato al massimo livello di riconoscere una loro responsabilità condivisa per quanto riguarda il traffico di droga». Come a dire: senza generosi clienti a nord del Rio Grande, difficilmente i cartelli dei narcos sarebbero diventati quella grande superpotenza clandestina che di fatto controlla quasi completamente la frontiera e intere zone del Messico.

Non si tratta, spiega la Fuentes-Berain, tanto di un problema di fondi e finanziamenti, già decisi (gli Usa avevano già stanziato 1,4 miliardi di dollari per la lotta al narcotraffico in Messico prima dell'elezione di Obama) ma soprattutto di una «questione di tono», di atteggiamento e non a caso il presidente messicano Felipe Calderon, anche in tempi recenti molto critico con gli Usa, ha salutato con favore quella che ha definito la posizione «costruttiva di Obama».

Bisognerà vedere, naturalmente, se tra Obama e Calderon si troverà un'intesa sostanziale e non solo un accordo di generica circostanza o di facciata.

Oltre al nodo narcotraffico, naturalmente, l'incontro di oggi vede altre due delicate faccende in evidenza. I rapporti commerciali e bilaterali tra i due paesi, sullo sfondo della crisi economica globale, e il tema dell'immigrazione dal sud e dal centro-America verso il Nord. Si tratta di due temi inestricabilmente intrecciati. Il Messico, seconda economia dell'America Latina, dipende in effetti da Washington per l'80% delle sue esportazioni mentre le rimesse dei circa 12 milioni di messicani emigrati (la metà clandestinamente) rappresentano la terza fonte di introiti per il Messico dietro il petrolio e il turismo.