19 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Fisco

La ricetta di Confindustria per una «riforma fiscale a tutto tondo»

A giudizio degli industriali per l'Irpef che «sembra uscita dal bisturi del Dr. Frankenstein», occorre agire sul fronte della progressività, alleggerendo la pressione fiscale sui redditi medi

Banconote Euro
Banconote Euro Foto: Pixabay

Confindustria chiede una riforma complessiva del fisco italiano. E' l'intero sistema, a giudizio degli industriali, a necessitare di una revisione «a tutto tondo». Per l'Irpef che «sembra uscita dal bisturi del Dr. Frankenstein», occorre agire sul fronte della progressività, alleggerendo la pressione fiscale sui redditi medi e disinnescando quel meccanismo che fa sì che l'imposta, allo stato attuale, sia un «disincentivo al lavoro e alla produttività».

L'Irap, poi, va abolita del tutto, mentre una patrimoniale non avrebbe senso visto che già ne esistono 17. E' questa l'indicazione che arriva dal vicepresidente di Confindustria per il Credito, la Finanza e il Fisco, Emanuele Orsini, in audizione, presso le Commissioni riunite Finanze di Camera e Senato, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario.

Per Confindustria, al Paese occorre «un progetto di riforma a tutto tondo», partendo da tre nodi fondamentali. In primis la portata dell'azione riformatrice: «è l'intero sistema fiscale, e non solo l'Irpef, che ha bisogno di una riforma», ha spiegato Orsini. Secondo punto il metodo: «ci vuole tempo, le riforme non si fanno con la decretazione d'urgenza».

Terzo punto, le risorse e come reperirle: «oggi ammontano, in media, a soli 2 miliardi l'anno nel 2022 e 2023. Sono risorse esigue. Recuperare risorse dall'evasione va bene, ma non offre garanzie. Servirà rimodulare il prelievo nelle imposte e tra le imposte del sistema fiscale».

Quanto all'Irpef, la progressività, «va ridisegnata». Con l'Irpef attuale «un dipendente che cerca di guadagnare un euro in più finisce col trovarsi in tasca pochi centesimi o, al limite, col peggiorare la propria situazione complessiva, perdendo bonus e detrazioni», ha osservato il vicepresidente di Confindustria. Per un lavoratore dipendente «l'aliquota marginale effettiva sopra i 28 mila euro è di oltre il 31% (quella legale è del 27%). Tra i 35 mila ed i 45 mila euro il prelievo effettivo arriva al 61% (a fronte di un'aliquota legale del 38%). Questo sistema è un disincentivo al lavoro e alla produttività». Per Confindustria, dunque, «regolarizzare l'andamento delle aliquote effettive dell'Irpef è una priorità. Nel farlo, va alleggerita la pressione sui redditi medi, eliminando i disincentivi ad aumentare il reddito, in particolare sopra i 28mila euro, soglia oltre la quale l'attuale modello produce le distorsioni più ampie».

Quanto alla tassazione d'impresa, l'Irap «è un'imposta che ha fatto il suo tempo», ha detto Orsini. Dopo la cancellazione temporanea dei versamenti del tributo dovuti nel 2020, «il legislatore ha un'occasione storica per eliminarla del tutto. Si avrebbero enormi benefici in termini di semplificazione e attrazione di nuovi investimenti».

Riguardo l'imposta patrimoniale, poi, «il tema non è 'se' introdurne una, ma come riorganizzare le 17 che abbiamo già». Infine il capitolo bonus e agevolazioni. «Meglio pochi grandi incentivi e una tassazione bassa, che una giungla di bonus minuscoli o per pochi eletti».

Stop a giungla bonus, meglio tassazione bassa

«Meglio pochi grandi incentivi e una tassazione bassa, che una giungla di bonus minuscoli o per pochi eletti». Il rapporto più recente sulle spese fiscali «censisce 602 agevolazioni a disposizione». La maggior parte operano esclusivamente sull'Irpef: 196 misure, il 36,7% del totale. L'impatto «in termini di mancato gettito è circa 40 miliardi di euro l'anno», ha spiegato Orsini. Per le spese fiscali «serve una revisione coraggiosa e puntuale sulla base di dati ed evidenze oggettive. Per ragioni di semplificazione ed equità potrebbe essere eliminata la galassia di 'microagevolazioni', con importi risibili o manciate di beneficiari e mantenuto un ristretto nucleo di spese fiscali, da classificare in ambiti (casa, famiglia, salute, etc.)».

Le risorse «eventualmente recuperate devono andare integralmente a ridurre la pressione fiscale. Inoltre, le agevolazioni hanno un senso se vivono abbastanza da consentire la loro implementazione e fruizione e se hanno un'intensità tale da smuovere i comportamenti desiderati. I superbonus al 110% sono un esempio di questo corretto approccio. Si tratta di una misura potente e utile, ma che andrebbe estesa e rafforzata -consentendo l'accesso anche alle imprese, semplificando l'iter applicativo e la normativa», ha concluso Orsini.