Come e perché in Italia sta crescendo una vera e propria «bomba sociale»
Nel Belpaese sta crescendo una vera e propria «bomba sociale» che rischia di esplodere nel giro di poche decine d'anni. Ma i Governi non se ne curano
ROMA – Nel Belpaese sta crescendo una vera e propria «bomba sociale» che rischia di esplodere nel giro di poche decine d'anni. Parliamo delle pensioni delle giovani generazioni, quelle che faticano a entrare nel mercato del lavoro e – quando ce la fanno – raramente riescono a versare i contributi in maniera continuativa e stabile nel tempo. I rapporti lavorativi precari e le remunerazioni scarse sono causa delle esistente sospese e delle vite interrotte, lasciate in stand by nell'attesa di firmare un nuovo contratto. Ma soprattutto stanno alimentando un circolo vizioso che i vari governi che si sono succeduti in qursti anni a Palazzo Chigi sembrano ignorare, non si capisce se consapevolmente o meno. Fatto sta che quando la maggior parte dei giovani disoccupati di oggi arriveranno all'età della pensione, potranno contare su un assegno previdenziale ridicolo e insufficiente a garantire loro una vecchiaia dignitosa. Ma cosa si può fare oggi per evitare domani l'esplosione di questa pericolosissima bomba sociale? Si sente dire spesso dai nostri politici che a causa dei vincoli sui conti pubblici non si può intervenire: le cose stanno davvero così?
Le riforme degli anni Novanta sul sistema pensionistico
Secondo Felice Roberto Pizzuti, che scrive su Sbilanciamoci.info, no. Molto è già stato fatto negli anni Novanta per recuperare le storture e gli squilibri del sistema previdenziale italiano. E molto altro si può fare ancora. Nel 1996 e poi ininterrottamente dal 1998, ad esempio, il saldo annuale tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle ritenute fiscali era tornato in attivo. Nel 2008 raggiunse i 33 miliardi (una cifra considerevole perché pari al 2% del Pil) e nell’ultimo anno di cui si ha notizia certa, il 2015, è stato di 26 miliardi (pari all'1,7% del Pil). Inoltre, le previsioni di cui dispone l'Inps ci dicono che almeno nel prossimo decennio, e questo nonostante l’invecchiamento della popolazione, il rapporto tra la spesa pensionistica pubblica e il Pil sia in calo. Ma questo significa anche che, poiché si è scelto di ridurre la partecipazione degli anziani alla distribuzione del reddito totale, il valore medio delle pensioni scenderà ulteriormente. E la fetta della distribuzione del reddito dei futuri pensionati oggi giovani trent'enni o quarantenni diminuirà ancora.
Una bomba sociale in potenza
Rispetto al salario medio e al Pil pro-capite, il valore medio delle pensioni passerà dal 45% attuale al 32% nel 2035 andando a colpire più duramente proprio la generazione che ha più difficoltà a garantirsi per il futuro una pensione dignitosa. Non è un caso che da qualche anno a questa parte, e soprattutto dopo la riforma Fornero, neppure Bruxelles ci chiede più di intervenire sul sistema pensionistico. Anzi, l'Unione europea ci chiede di fare di più per sostenere la crescita economica. E se è vero che il diktat comunitario è ancora quello dell'austerity, sono solo i nostri governi a decidere di intervenire colpendo le pensioni future e traslando i problemi di oggi sulle generazioni di domani. La riforma Fornero, ad esempio, ha reso ancora più difficile per i giovani l'ingresso nel medio del lavoro perché ha bloccato il turn over generazionale. Ecco perché l'invito al prossimo Esecutivo nazionale è quello di non continuare a sottovalutare questa «bomba sociale» in potenza perché l'aumento esponenziale delle disuguaglianze di questi anni (e la triste forbice tra ricchi e poveri è destinata ad aumentare) unito al dramma delle (non) pensioni degli anni duemilatrenta, duemilaquaranta e duemilacinquanta potrebbe scatenare un pericolo conflitto sociale sul territorio dello Stivale.
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