Fisco, gli 80 euro in busta paga hanno funzionato oppure no?
Di tutte le scelte del governo volte a conquistare il favore degli elettori, certamente quella di introdurre in busta paga un “bonus” di 80 euro per una bella fetta di lavoratori dipendenti ha raggiunto il punto più alto della propaganda renziana
ROMA - La principale – e popolare – misura di sostegno alla domanda aggregata varata dal governo Renzi è stata l'introduzione degli 80 euro in busta paga a favore dei lavoratori dipendenti: un taglio delle imposte che avrebbe dovuto garantire un consistente aumento dei consumi. Il «bonus» in questione ha funzionato davvero? Sebbene non esista ancora una risposta ufficiale a questa domanda, stanno emergendo tuttavia i risultati sconvolgenti di alcuni studi economici.
La promessa «tradita» di Pina Picierno
Di tutte le scelte del governo volte a conquistare il favore degli elettori, certamente quella di introdurre in busta paga un «bonus» di 80 euro per una bella fetta di lavoratori dipendenti ha raggiunto il punto più alto della propaganda renziana. Era il maggio 2014 quando la parlamentare PD Pina Picierno annunciava che grazie a questa manovra i consumi nazionali sarebbero cresciuti del 15% e, dal momento che i consumi italiani sono pari all’incirca a 1200 miliardi di euro, la promessa della Picierno corrispondeva a un aumento di 180 miliardi: euro più euro meno. La domanda che molti, da mesi, si stanno ponendo è se davvero il bonus introdotto dal governo abbia raggiunto l'obiettivo annunciato. I consumi sono cresciuti grazie agli 80 euro in più in busta paga? E, se sì, di quanto? Viene in soccorso alla nostra analisi uno studio economico pubblicato sul sito www.lavoce.info firmato da Luigi Guiso.
Fondamenti della teoria keynesiana
Per affrontare con serietà l'argomento, però, bisogna innanzitutto ricordare i fondamentali della teoria economica e in particolare il concetto keynesiano di propensione marginale al consumo. Secondo Keynes, infatti, l'importo che la collettività spende in consumi dipende da alcune variabili: 1) l'ammontare del reddito individuale; 2) circostanze oggettive concomitanti; 3) bisogni soggettivi e propensioni/abitudini degli individui che la compongono. Inoltre, la propensione marginale al consumo è una funzione relativamente stabile, ma – sebbene dipenda direttamente dal reddito – ha una particolarità: gli uomini aumentano i loro consumi in funzione dell'aumentare della loro disponibilità economica, ma non tanto quanto l'aumento del reddito stesso. Questo significa, in parole povere, che oltre una certa soglia l'aumento del reddito non si trasforma in un equivalente aumento dei consumi, ma in risparmio e/o investimenti. Per questa ragione, sono i ceti più bassi a spendere di più in beni e servizi rispetto a quelli più elevati.
Gli 80 euro sono rimasti nel portafoglio
Fatte queste doverose premesse, possiamo ora considerare lo studio di Luigi Guiso secondo il quale si può calcolare l'effetto del bonus per le famiglie con livelli di reddito compresi tra la soglia minima e massima per beneficiare degli 80 euro, interpolando i due effetti, e quindi calcolando quello complessivo sul consumo aggregato. Utilizzando i dati dell'Istat – e alla fine di alcuni calcoli riportati nel testo dell'articolo -, Guido è arrivato alla conclusione che «le stime centrali dell’effetto del bonus sono generalmente vicine allo zero». Naturalmente sono in corso numerosi approfondimenti sul tema, e non è detto che le conclusioni di questo studio siano definitive. Tuttavia esse aprono una riflessione sul perché la scelta del governo non avrebbe funzionato così come era stato propagandato mesi orsono. Una delle concause più importanti nel determinare l'inefficacia dell'intera operazione può essere rintracciata nell'incertezza che ha contraddistinto la manovra finanziaria.
Morale della storia
Il bonus, infatti, non è stato immediatamente percepito dalla popolazione come una misura permanente, in quanto è stato confermato per l'anno successivo solo con la legge di stabilità alla fine di dicembre. Questo elemento d'incertezza, nel bel mezzo della crisi economica che stiamo ancora attraversando, può aver giocato un ruolo fondamentale nel limitare la propensione al consumo delle famiglie italiane, più orientate al risparmio che alla spesa. Inoltre, ad aver usufruito del bonus sono stati anche i nuclei famigliari con redditi relativamente alti, che – per la teoria keynesiana sopra menzionata – preferiscono, dopo una certa soglia, gli investimenti rispetto alla spesa per beni e servizi. Nell'attesa di conoscere i risultati ufficiali degli studi in corso sugli effetti degli 80 euro in più in busta paga, val la pena sottolineare ancora una volta che esiste evidentemente uno iato spesso imbarazzante tra gli spot elettorali e i dati inconfutabili della macroeconomia.
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