15 marzo 2025
Aggiornato 18:00
La risposta dei lavoratori alla riforma del lavoro del governo Renzi

Dopo il Jobs Act, ecco il Workers Act

La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto cifre da capogiro, e in Europa solo la Grecia fa peggio di noi. Ecco la ricetta di "chi lavora e vorrebbe continuare a lavorare" per cambiare le cose e uscire dalla crisi economica.

ROMA - Dopo il Jobs Act, ecco il Workers Act. E’ la proposta dei lavoratori, in risposta alla riforma del lavoro realizzata dal governo Renzi, pubblicata sul sito sbilanciamoci.info. Un’alternativa al Jobs Act è infatti possibile, ed è formata da molte politiche concrete in grado di trasfor­mare l’azione pubblica e le iniziative sociali in strumenti per difendere il lavoro e migliorare le condizioni di chi lavora e vorrebbe lavorare.

La disoccupazione non è figlia della crisi: in Italia è un problema strutturale
L’occupazione giovanile in Italia è crollata dal 64,33% del 2007 al 52,79% del 2013. L’altra brutta notizia è che tra i paesi dell’Eurozona solo la Grecia fa peggio di noi: all’ombra del Partenone lavorano solo il 48,49% dei giovani. La Neet generation – i giovani che non sono occupati e neppure iscritti a un corso di studi – ha raggiunto cifre da capogiro: il 26,09% degli under 30. L’Ocse ha puntato il dito contro il Belpaese, evidenziando che c’è «uno specifico problema di disoccupazione giovanile, in aggiunta a uno più generale", a causa di «condizioni sfavorevoli e debolezze nel mercato del lavoro, e nelle istituzione sociali ed educative».

La risposta dei lavoratori: il Workers Act
Cosa serve dunque per combattere la disoccupazione? Ecco la risposta dei lavoratori, un’alternativa al Jobs Act del governo Renzi: è il Workers Act pubblicato sul sito sbilanciamoci.info. Secondo questo nuovo manifesto «di chi lavora e vorrebbe lavorare» la riforma del mercato del lavoro da sola non basta, serve molto di più: una politica della domanda per uscire dalla recessione, una spesa pubblica ri­qualificata, una «grande redistribuzione» che tolga ai ricchi per dare ai poveri, cominciando dalla tassazione, una riconversione ecologica del che cosa e come si produce. Queste sono le trasformazioni delle politiche che potrebbero mettere il lavoro al primo posto. In sintesi: occorre una visione strategica pubblica del mo­dello economico e industriale italiano che non deleghi alle aziende la definizione delle politiche economiche e industriali.

Lo Stato deve svolgere il ruolo di «occupatore di ultima istanza»
Molte sono le proposte concrete contenute nel Workers Act, ma per esigenze di sintesi possiamo argomentarne solo alcune. Come si legge nel documento, «l’attuale si­tuazione di disoccupazione e di precarietà del lavoro va considerata come una condizione sistemica dell’attuale modello produttivo e ciò rende essenziale l’a­dozione di programmi di creazione diretta di lavoro, ovvero di un intervento dell’ente pubblico che, assumendo la funzione di «occupatore di ultima istan­za», garantisce a coloro che si rendono disponibili un impiego remunerato e finalizzato alla creazione di valori sociali, tali da avere effetti espansivi sulla domanda aggregata ed essere quindi di stimolo alla stessa domanda di lavoro delle im­prese». Un esempio è quello del Servizio Civile Nazionale, che con un finanziamento di circa 840 milioni, potrebbe occupare più di 150.000 giovani l’anno nei settori dell’assistenza, della protezione civile e dell’ambiente, del patrimonio arti­stico e culturale, della educazione e promozione culturale.

La proposta:  Lavorare meno, ma lavorare tutti
Inoltre,  servono interventi per una ridefinizione generale degli orari contrattuali, al fine di riassor­bire l’offerta di lavoro in eccesso. La riduzione dello standard legale dalle 39 alle 35 ore lavorative, sostenu­ta da sgravi contributivi permanenti, ha avuto effetti sostanzialmente positivi in Francia. E un altro modello di riferimento in tal senso è quello olandese, che si distingue per il fatto di occupare la metà della popolazio­ne attiva a tempo parziale. «La soluzione che proponiamo», si legge nel documento, «è quella di calibrare il carico fiscale e contributivo sul salario a seconda della durata dell’orario, alleggerendolo per gli orari ridotti e ag­gravandolo per quelli di più lunga durata». Con questo meccanismo, le imprese sarebbero così indotte a riorganizzare il lavoro dei loro dipendenti, e incentivate ad assumerne. Questi sono solo alcuni dei concetti chiave e delle proposte contenute nel Workers Act, che varrebbe la pena leggere e sottoporre all’attenzione dei nostri politici nazionali.