29 marzo 2024
Aggiornato 14:30
Economia

Rapporto Franchising Italia

Continua a crescere anche in fasi di difficoltà economica e di calo dei consumi, torna ad animare i quartieri urbani che registrano la chiusura continua di piccoli negozi

ROMA - Oltre 49 mila punti vendita, 157 mila occupati ed un giro d’affari che supera i 20 miliardi di euro. Sono questi i numeri del franchising in Italia che, anno dopo anno, continua a mostrare un trend in crescita ed a rappresentare una importante alternativa alla formula commerciale tradizionale.
Continua a crescere anche in fasi di difficoltà economica e di calo dei consumi, torna ad animare i quartieri urbani che registrano la chiusura continua di piccoli negozi, ma al tempo stesso si propone come formula «anticrisi» anche in settori dove era inimmaginabile una sua presenza solo qualche anno fa, come la produzione, i servizi alle persone, le sartorie.

È ormai un dato di fatto che la formula commerciale del franchising rappresenta oggi il sistema di sviluppo aziendale più diffuso e collaudato delle economie moderne. Più di ogni altra formula d’impresa, infatti, ha in sé gli ingredienti giusti per reagire: capacità innovative, logistica centralizzata, economie di scala, e politiche di marketing mirate. E’ un sistema commerciale in grado di incentivare lo sviluppo dell’occupazione sul territorio, in controtendenza con la situazione del mercato del lavoro.
Legato nella fase iniziale soprattutto ad insegne d’abbigliamento ed a carattere commerciale, il franchising si è via via esteso ed oggi per il 12% è riferito al settore «food», per il 43,3% al «non food» e per il 44,7% a quello dei «servizi», con una presenza a livello territoriale del 60% sul totale nelle regioni del nord, il 22% in quelle del centro e per il rimanente 18% nel sud e nelle isole.
È l’abbigliamento il settore più presente sul totale del fenomeno delle aziende impegnate nel franchising: + 7,2%. Segue poi quello dei servizi immobiliari (6,3%), quello della salute e benessere (6%), i servizi alle persone (5,1%), viaggi e turismo (5%), servizi finanziari (4%).
Il Report 2010 sul Franchising in Italia conferma il buon andamento del settore e fornisce una fotografia dell’affiliazione italiana molto dinamica nonostante la lunga fase critica che sta attraversando l’economica italiana.

«Ne emerge un quadro interessante e incoraggiante – sottolinea Patrizia De Luise, presidente della Fif-Confesercenti - che ci convince ancor di più a lavorare per la diffusione di questo settore anche al fine di rilanciare quelle aree urbane minacciate dalla desertificazione commerciale».
«La Federazione Italiana Franchising è impegnata a far sì che questo settore si sviluppi ancora di più e rappresenti un comparto strategico per la piccola e media impresa e sia una risposta positiva anche in questo periodo di grande criticità per l’economia mondiale. Il nostro compito è quello di rappresentare le nostre imprese presso le istituzioni al fine di trovare misure e strumenti per un miglior sviluppo del settore in Italia ed all’estero».
La legge 129/2004, ha regolato il mercato italiano ed ha aiutato a trasformare i contratti atipici che popolavano il settore. Da allora il franchising italiano si è avvicinato a quello europeo sia per performance che per percezione del consumatore e dell'imprenditore.
Ma ancora oggi si rende necessario un’attenzione da parte del legislatore a questo settore, per ben due motivi precisi: l’attuale crisi economica unita alla predisposizione del «fai da te» sta generando situazioni poco chiare nel settore. Assistiamo, da una parte, alla messa in opera di rete in franchising senza la sperimentazione richiesta nella normativa del settore, e dall’altra, alla sottoscrizione di contratti di franchising senza le dovute cautele, con quello che ne comporta in termini di insuccesso sia per il franchisor che per il franchisee che si vede il più delle volte coinvolto in situazioni truffaldine.

A questo punto, la FIF vorrebbe richiamare l’attenzione del legislatore verso i seguenti aspetti:
La attuale legge stabilisce che per la costituzione di una rete di affiliazione commerciale il franchisor deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale, senza però specificare per quanto tempo ed in che termini. La FIF propone pertanto di prevedere che la sperimentazione contempli l’apertura di due punti vendita in grado di dimostrare la validità dell’iniziativa imprenditoriale in chiave franchising.
Vista la dimensione che il settore del franchising ricopre sul mercato nazionale, sarebbe inoltre opportuno prevedere, nella modulistica relativa all’iscrizione delle imprese presso le Camere di Commercio, segnalare se l’impresa iscritta è franchisor o franchisee. In questo modo si riuscirebbe a monitorare la vera entità del settore e capire anche quali strumenti mettere in campo per il suo sviluppo. Si tratta, in definitiva di prevedere un codice di attività dedicato.
Ulteriori proposte di modifiche riguardano l’esigenze, da più parti avvertita, di rendere sanzionabili i comportamenti scorretti delle aziende soprattutto nelle forniture delle informazioni precontrattuali.
La Federazione intende, infine, continuare a lavorare sul tema dei finanziamenti all’imprese in franchising, in particolare per quanto riguarda lo start up delle imprese franchisee. In questo senso riteniamo che la misura del Decreto 185/2000 vada ancora oggi sostenuta al fine di garantire una maggior rapidità nella crescita dei punti vendita in franchising. «E’ un impegno nel quale crediamo fortemente – conclude la De Luise – così come siamo convinti che il franchising rappresenti davvero la nuova frontiera della distribuzione commerciale ed una nuova importante occasione di sviluppo per le imprese».