19 aprile 2024
Aggiornato 03:00
Protesta pastori

Lo stato produce «falso» pecorino italiano

E’ questa la denuncia contenuta nel dossier della Coldiretti elaborato in occasione della protesta dei pastori italiani giunti a Roma

ROMA - Lo Stato italiano è proprietario di una industria che in Romania, con latte romeno e ungherese, produce formaggi di pecora che vengono «spacciati» come Made in Italy sui mercati europeo e statunitense contribuendo ad uccidere con la concorrenza sleale i pastori italiani. E’ questa la denuncia contenuta nel dossier della Coldiretti elaborato in occasione della protesta dei pastori italiani giunti a Roma da tutte le regioni italiani per manifestare di fronte al Ministero delle Politiche Agricole. Siamo di fronte - sostiene la Coldiretti - ad un caso eclatante in cui lo Stato italiano che è impegnato a combattere il finto Made in Italy ne diventa addirittura produttore. Attraverso la società pubblica per l’internazionalizzazione SIMEST è infatti socio proprietario di una società rumena denominata LACTITALIA con sede in Romania che produce, utilizzando latte di pecora romeno e ungherese, formaggi rivenduti con nomi italiani (tra gli altri Dolce Vita, Toscanella e Pecorino)

La presenza di prodotti di imitazione sui mercati internazionali è - spiega la Coldiretti - la principale ragione del calo del 10 per cento delle esportazioni dei formaggi di pecora Made in Italy con la quale viene motivata una insostenibile riduzione dei prezzi riconosciuti agli allevatori italiani. LACTITALIA si descrive nel suo sito - riferisce la Coldiretti - come «una società di diritto romeno costituita al 100 per cento da investitori italiani, apportatori di know how tecnologico e commerciale, operanti nel settore caseario da oltre 85 anni. La capacità di trasformazione dello stabilimento è pari a circa 100mila litri di latte al giorno; per quanto attiene ai prodotti finiti la loro commercializzazione avviene verso gli USA, l’Unione Europea e la Romania». L’azienda LACTITALIA ha aperto nel 2007 un caseificio a Izvin, nei pressi di Timişoara, grazie ad un investimento di 5 milioni di euro finalizzato alla produzione di formaggi e latticini destinati sia al mercato romeno che all’export (i principali Paesi di sbocco sono gli Stati Uniti con il 55% di export, l’Italia e la Grecia). Il caseificio impiega 34 addetti a tempo pieno ed altri 29 con contratto stagionale e ha realizzato nel 2009 un giro di affari di oltre 4 milioni di euro.

Dalle visure effettuate LACTITALIA - continua la Coldiretti - risulta essere una Srl composta da due soci, una srl romena ROINVEST di cui sono risultati soci cittadini apparentemente di nazionalità romena e SIMEST Spa, società italiana controllata dallo Stato (76% del capitale), che è stata istituita come società per azioni nel 1990 (Legge n° 100 del 24.4.1990), per promuovere il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane ed assistere gli imprenditori nelle loro attività all’estero.

Sulla base delle indicazioni riportate sullo stesso sito della società LACTITALIA trasforma latte di mucca e di pecora e commercializza i propri prodotti con due marchi, uno per il mercato estero e uno per quello rumeno, quali la Dolce Vita e Gura de Rai. Tra i prodotti spiccano «pecorino» e «toscanella», entrambi realizzati con latte di pecora, ma ci sono anche altri nomi italiani come mascarpone, ricotta, mozzarella, caciotta, solo per citarne alcuni. Dai documenti dell’Ice emergono alcune dichiarazioni del Direttore di Lactitalia: «Per calibrare i macchinari del caseificio abbiamo importato latte ungherese, perché è molto più pulito di quello che avremmo dovuto comprare dai produttori romeni», «Alla fine, il caseificio Izvin è riuscito a trovare una rete di fornitori di latte «pulito«».

Di fronte a questa situazione la Coldiretti pone due domande:
1) Perché questo investimento in cui lo Stato diventa proprietario di una azienda che fa concorrenza sleale ai nostri pastori ?
2) Quanti casi analoghi esistono e quali iniziative si intende adottare per porre fine a questa grave situazione che danneggia l’agricoltura italiana ?