28 agosto 2025
Aggiornato 10:30
Editoriale

Fiat verso il sì al referendum

Favorevoli all’accordo anche Veltroni e Bersani. E la Fiom si spacca

Martedì prossimo sapremo se e come il lavoro in Italia ha imboccato un percorso capace di coniugare le certezze del passato con le esigenze del futuro.
In ballo non c’è solo lo stabilimento di Pomigliano, ma una filosofia che finora ha consentito gradi conquiste ai lavoratori, ma anche una grande distanza dalle strategie e dagli obiettivi delle aziende.
Sergio Marchionne proponendo lo scambio, ricollocazione nazionale della produzione- maggiore produttività, sta semplicemente esercitando un’arma di ricatto favorita dalla crisi o sperimentando un nuovo rapporto fra lavoro e impresa fondato sulla compartecipazione e la corresponsabilità degli obiettivi?
Per l’ala dura della Fiom non ci sono dubbi: la Fiat sta solo cercando di sfruttare la crisi per fare camminare a ritroso le lancette dell’orologio che dall’autunno caldo in poi ha scandito il tempo dell’affermazione dei diritti dei lavoratori.
La proposta di regolamentare gli scioperi, le assenze per malattia, le pause, le turnazioni sono, secondo i duri e puri della Fiom, la testimonianza inequivocabile di una volontà restauratrice dell’azienda torinese.

Se però si va a guardare che cosa ha prodotto sui lavoratori la briglia sciolta ottenuta in passato su questi temi, salta agli occhi che la contropartita è stata una instabilità costante del futuro dell’azienda e dei posti di lavoro. Fino al punto di essere arrivati ad una vendita a futura memoria alla General Motors messa a punto da Giovanni Agnelli, vendita che poi non si è realizzata perché gli americani hanno scoperto di essere anche più inguaiati dei torinesi.
Non bisogna fare un grande sforzo per immaginare che fine avrebbe fatto la Fiat se la Gm, anche a costo di pagare quasi tremila miliardi delle vecchie lire di penale, non si fosse tirata indietro all’ultimo momento.

E’ vero, il duo Agnelli e Romiti durante il loro regno è stato sempre abbastanza di manica larga con le richieste sindacali e grazie a questo atteggiamento dialogante i lavoratori hanno potuto usufruire di diritti estesi e garantiti.
Romiti, allora, era bene attento ad interpretare a dovere la parte del «cattivo»ad uso dell’immagine pubblica, ma nei fatti aveva ben poca voglia di tramutare in iniziative concrete la voce grossa. Sapeva bene, infatti, che poi sarebbe comunque dovuto andare a battere cassa nei corridoi di Montecitorio, dove la cinghia di trasmissione fra Pci e sindacati girava alla perfezione (con l’appoggio esterno di una buona fetta della Democrazia Cristiana).

Nessuno può mettere in dubbio che gli anni del duo Romiti-Agnelli abbiano segnato un’epoca di grandi conquiste sindacali.
Ma qualcuno può affermare che dietro questa strategia tesa al dialogo della Fiat ci fosse anche un piano preciso per la sopravvivenza dell’azienda? Una politica imprenditoriale che puntasse alla competitività? Al confronto con i propri concorrenti?
La storia ha dimostrato il contrario.

E’ solo con l’avvento di Sergio Marchionne che a Torino si è ricominciato pensare a come costruire bene le auto, a mettere sul mercato modelli competitivi.
E i risultati si sono visti.
Ora Marchionne chiede di applicare i metodi di lavoro che già sono applicati in Germania e in Giappone. Tanto che si parla di metodo Toyota rivisitato in chiave europea e ha anche un nome, si chiama World Class manufacturing.
Tanto per fare un esempio con il Wordl Class manufacturing un operaio Fiat ogni volta che dovrà prendere un componente per montarlo sulla nuova Panda non dovrà fare più di dieci passi.
Il suo collega tedesco, attualmente, non ne fa più di tre.
Sembra uno scherzo, ma è stato calcolato che con questo sistema si possono ridurre fino a un massimo del 57 per cento i tempi delle operazioni montaggio.

Ora, gli operai della Fiat vogliono misurarsi con il Wordl Class manufacturing già applicato dai tedeschi o confrontarsi con il metodo polacco?
In questo secondo caso l’esito è scontato: Pomigliano chiuderà e i settecento milioni di investimenti messi sul tavolo da Marchionne per la soluzione italiana emigreranno in Polonia. Insieme alla speranza di potere continuare a scommettere sul sud d’Italia come terra da investimenti industriali.

Ricatto si può definire una iniziativa forzata dove chi la subisce ha tutto da perdere e nulla da guadagnare.
E’ questa la condizione in cui si trovano i lavoratori di Pomigliano?