16 ottobre 2024
Aggiornato 04:00

Bonanni contro i paradisi fiscali

Il segretario generale della Cisl lancia un ultimatum al governo e chiede un rivoluzione delle imposte

Se si muove il sindacato moderato vuol dire che la questione è seria. La Cisl ha dato il via ad una battaglia sulla giustizia fiscale che non è di facciata. Raffaele Bonanni chiede un riforma radicale del fisco e molto probabilmente non sotterrerà l’ascia di guerra se non dopo avere ottenuto qualche risultato.
Sabato 27 febbraio il segretario generale della Cisl ha mobilitato le sue truppe e ha dato un ultimatum al governo per fissare al più presto un tavolo di discussione, insieme all’opposizione e alle parti sociali.
Un risultato Bonanni lo ha già ottenuto, anche la Cgil è pronta a scendere in piazza dietro la bandiera del fisco e ha già mobilitato il suo popolo per il 12 di marzo.
Ora si tratterà di vedere come reagirà il ministro dell’economia Tremonti.

Dal punto di vista tecnico, oltre che etico, la causa che la Cisl ha deciso di portare avanti non fa una piega: l’83 per cento del carico fiscale attualmente ricade sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati, una percentuale che con la crisi e con un’inflazione strisciante sempre in agguato rischia nel tempo di diventare insostenibili.
Bonanni ricorda inoltre che il peso è diventato troppo pesante anche per le imprese, oppresse da tasse molto superiori a quelle pagate dai loro concorrenti europei.
Anche le ragioni di Tremonti sono tecniche: «La situazione del Paese è tale- è stata finora la replica del ministro dell’Economia quando, anche recentemente, ha frenato il premier Berlusconi lanciato in una nuova campagna contro le imposte- che non permette alcuna manovra sulle tasse».
Anche il ragionamento di Ttremonti è ineccepibile, per di più essendo suggerito dalla contrazione delle entrate dovuta alla crisi.
Bonanni però indica una soluzione: spostare l’attenzione del fisco dalle imposte dirette a quelle indirette, avendo come bussola non il reddito ma le spese sostenute dai cittadini.

In sintesi la riforma che Bonanni propone può essere così riassunta:
1) riduzione del carico fiscale per lavoratori e pensionati, in particolare per quelli a reddito fisso.
2) forte sostegno alle famiglie e alle madri lavoratrici.
3) Ripristino della tracciabilità fiscale delle spese in modo che il fisco possa controllare l’effettivo tenore di vita dei cittadini senza farsi condizionare soltanto da quello che dichiarano.
4) Infine, introduzione di un meccanismo di «contrasto di interessi» che renda conveniente per chi compra beni e servizi farsi rilasciare la fattura.

Giustamente, quella proposta dalla Cisl è stata definita una rivoluzione fiscale.
Probabilmente non sarà di facile attuazione, ma è pur vero che quello del fisco è un argomento che va ripreso in mano, facendo bene attenzione alla selettività degli interventi e a non cadere in illusorie soluzioni del tipo «meno tasse per tutti».
Che Bonanni abbia più di una ragione nell’aprire il dibattito sul fisco sta a dimostrarlo la disparità di trattamento fra quanto deve versare allo Stato chi lavora, dipendenti o impresari e quanto invece vive o arrotonda con le rendite finanziarie: siamo il Paese dove la rendita finanziaria, al 12,5 per cento, paga meno tasse. Il dieci per cento in meno di quanto si paga in Svizzera. E non c’è stato governo di destra o di sinistra che finora sia riuscito a correggere almeno in parte questa ingiustizia dannosa per l’Italia che produce.
L’obiezione è che la materia è incandescente a causa della necessità che abbiamo di rifinanziare un dei debiti più alti del pianeta.
L’economista Francesco Forte nei giorni scorsi ha addirittura sbandierato il pericolo che un innalzamento delle imposte sulle rendite finanziarie potrebbe farci finire come la Grecia, che appunto nei prossimi mesi si troverà nell’impossibilità di fare fronte a scadenze pari a 22 miliardi di euro.
Ma il male oscuro della Grecia sono le imposte troppo alte sulle rendite finanziarie? E’ da escluderlo.
Allora forse ha ragione Bonanni quando afferma che non si può andare avanti così in eterno, senza fare nulla.
A meno di non sperare unicamente nei risultati della lotta all’evasione e nella definiva chiusura dei cosiddetti paradisi fiscali.
Nel mirino della Guardia di Finanza nei giorni scorsi sono finiti oltre duemila evasori e sono stati scoperti fondi per 2 miliardi. Ma si tratta, dicono gli stessi inquirenti, appena della punta dell’iceberg.
Come dimostrano i 95 miliardi rientrati (o semplicemente regolarizzati) con lo scudo fiscale.