8 maggio 2024
Aggiornato 13:30
Tremonti critica le privatizzazioni, ma intanto Alitalia è rinata

Carrozzoni di Stato e nuova Banca del Sud

Da sole le formule non bastano: ci vogliono regole e uomini che le sappiano fare rispettare

Forse fra le nuove generazioni qualche giovane avrà sentito i propri genitori parlarne, ma la maggior parte, se ne può essere certi, non ha idea di che cosa si deve intendere per «carrozzoni di Stato».
Chi invece ha qualche anno di più sa bene che la definizione sta a significare la mala gestione in passato di servizi, enti e aziende pubbliche, con l’intrusione della mano pubblica nelle fabbriche, da quelle che producevano plastica come la Montedison e quelle che sfornavano i panettoni come Motta e Alemagna.
Diciamo che si è smesso di parlare di «carrozzoni» da quando è sparito il ministero delle Partecipazioni statali, che appunto era la lunga mano politica su tutto quello che lo Stato gestiva in prima persona.
Di alcuni di quei vecchi «carrozzoni» sopravvivono ancora alcune macerie, reperti che i contribuenti, però, continuano a pagare a caro prezzo perché metterli in liquidazione in alcuni casi è stato più difficile e costoso che disfarsi delle scorie delle centrali nucleari.

L'ESEMPIO ALITALIA - Perché si è tornati a parlarne in questi giorni? Primo, perché il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che sta varando una banca pubblica per il Sud, ha manifestato apertamente nostalgia per l’intervento dello Stato in economia, perlomeno nel settore bancario.
Poi perché comincia a profilarsi un po’di rosa nelle vicende di Alitalia, un ex »carrozzone» passato da poco in mano private grazie alla volontà, alla tenacia e al gusto delle sfide impossibili del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
Nel riaprire il capitolo «carrozzoni» partiamo proprio da Alitalia. Il presidente della compagnia, Roberto Colaninno e l’amministratore delegato, Rocco Sabelli, hanno reso noto che la società che guidano chiuderà il terzo trimestre in pareggio e che non ha alcun bisogno di essere ricapitalizzata, avendo in cassa 500 milioni di euro. Si può quindi dire che Alitalia, dal punto di vista finanziario è tornata ad essere un’azienda sana.
Abbiamo scritto «tornata», ma avremmo dovuto scrivere «diventata», perché la nostra compagnia di bandiera di buona salute, nella sua storia, ne ha conosciuta ben poca. Comunque si voglia dire, resta il fatto che si sta chiudendo nel migliore dei modi uno degli esempi più clamorosi di mala gestione statale della storia della Repubblica, e questo grazie all’intervento del privato.
Ne va dato alla coppia Colaninno-Sabelli che era già riuscita precedentemente a ridare vita a un altro simbolo del Made In Italy, cioè la Piaggio.
Ma va dato atto soprattutto al Presidente del Consiglio che, nel salvataggio, ci ha messo la faccia nell’incredulità generale. A Berlusconi va riconosciuto anche il merito di essere stato capace di superare qualche prurito personale nel puntare su Colaninno: l’attuale presidente di Alitalia fu infatti autore di una scalata a Telecom, compiuta anche per fare concorrenza al Cavaliere nel campo delle televisioni.

PUBBLICO O PRIVATO? Ha quindi torto Tremonti quando mette all’indice grandi privatizzazioni come Enel, Telecom, Autostrade e rimpiange le tre Bin e cioè Banco di Roma, Comit e Unicredit? Bisognerebbe chiedere al ministro se si sente di versare qualche lacrima anche per il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia.
La verità è che il problema solo in parte è riconducibile al dilemma pubblico o privato. Un gruppo come Finmeccanica, che pure è una lontana emanazione dei vecchi «carrozzoni», ha conquistato una posizione da leader mondiale in un settore altamente tecnologico, sebbene sia sotto il controllo pubblico. Le Poste hanno ritrovato l’equilibrio dei conti e stanno scegliendo la strada della diversificazione.
Questi, ed altri successi del pubblico, possono però farci dimenticare quanto è costata alla collettività la siderurgia? Le stesse Ferrovie, che pure stanno risalendo faticosamente la china, hanno provocato voragini nei conti dello Stato. E come possiamo ignorare che al mostruoso debito pubblico, che oggi azzoppa ogni tentativo di riscatto dell’azienda Italia, hanno contribuito non poco i tempi in cui i buchi di bilancio delle Partecipazioni statali venivano ripianati a piè di lista con il plauso generale di governi, opposizioni e sindacati?
Nondimeno, è privata la firma di scandali recenti, come Cirio e Parmalat, che hanno creato danni irreparabili a decine di migliaia di innocenti risparmiatori.
Sono esempi contraddittori che dimostrano una sola cosa con certezza: la storia insegna che la validità delle formule da sola non basta, accanto alle formule ci vogliono controlli, regole e uomini che le sappiano fare rispettare.
Ne sanno qualcosa negli Stati Uniti tramortiti da una crisi provocata dagli eccessi del liberismo.

BANCA DEL SUD - La Banca del Sud di Tremonti, tanto per restare a vicende di questi giorni, ricalcherà i vecchi modelli o risponderà all’esigenza di un credito che rispetti il territorio, ma si faccia anche rispettare dal territorio? Il passato non induce all’ottimismo e la presenza al Sud di forze che hanno piegato a interessi personali, peraltro non sempre leciti, la maggior parte degli interventi pubblici, giustifica ogni pessimismo.
Insomma il ministro dell’Economia ha lanciato una sfida nel pubblico, ancora più temeraria di quella che Berlusconi lanciò nel privato con Alitalia.
Non c’è che da augurargli la stessa fortuna.