24 aprile 2024
Aggiornato 02:00
Ora anche i grandi istituti finanziari stanno scoprendo la forza della nostra economia reale

Dare spazio all’Italia che funziona

Intanto l’Inps avverte: a settembre record della cassa integrazione guadagni

C’è qualcosa che non funziona nella lettura quotidiana delle cifre che provengono dalla crisi. Quello che non funziona è lo sforzo di interpretare i dati nel tentativo di scorgere, fra le linee dei diagrammi, segnali che finiscono per essere più in sintonia con la divinazione che con l’attenta analisi dei fatti, come la situazione imporrebbe.

L'«Ottimismo» dell'INPS - Stiamo parlando, ma è solo l’ultimo esempio, dei dati sulla richiesta di cassa integrazione avanzata dalle aziende nel mese di settembre: rispetto allo stesso mese dell’anno precedente le ore di Cig sono aumentate del 437 per cento. E’un dato che non può che preoccupare, ma l’Inps preferisce affidarsi all’ottimismo e fa notare che comunque l’incremento di cassa integrazione di settembre su agosto è stato»solo» del 95 per cento «il più basso degli ultimi quattro anni».
E’la prova, secondo l’Inps, che siamo in presenza di una frenata nelle richieste di aiuto da parte delle aziende. Un altro dato positivo, aggiunge l’Inps, proviene dalla relativamente bassa richiesta di cassa integrazione straordinaria, quella a cui si ricorre per crisi o ristrutturazioni: è cresciuta in un anno del131 per cento, contro il 639 della cassa ordinaria, che diventa addirittura più 890 per cento nell’industria.
Non possiamo che augurarci che la propensione all’ottimismo dell’ Inps sia premiata dai fatti, ma non rinunciamo a credere che il modo migliore per affrontare la crisi sia quello di osservare con molta attenzione alle carenze strutturali che la crisi impietosamente sta portando alla luce, ma anche ai mutamenti che sta provocando, alcuni dei quali anche di segno positivo.

Rapporto Symbola-Fondazione Edison - «In Italia nel 2008 si è registrata una netta crescita delle piccole e medie aziende che hanno affrontato la competizione globale incrementando la qualità dei prodotti: il 71 per cento delle aziende è fra queste, contro una media europea del 64 per cento. Inoltre queste imprese hanno ottenuto il 12 per cento del fatturato dall’immissione sul mercato di prodotti innovativi, facendo molto meglio di Germania, Spagna e Francia», rende noto un rapporto Symbola-Fondazione Edison.
E’ la conferma del grande sforzo che il tessuto industriale italiano, a partire dalle piccole e medie imprese, sta facendo per vincere sui mercati internazionali la sfida dell’innovazione.
La ricerca Symbola-Fondazione Edison punta i riflettori sui Parchi Tecnologici che stanno contribuendo a costruire quell’alleanza fra ricerca e industria finora tanto invocata quanto disattesa; sulla flessibilità del sistema che fa diventare Prato, vittima della concorrenza cinese, capitale dei nuovi materiali tessili; sui Politecnici, a partire da quello di Milano e Torino, che stanno diventando dei punti di riferimento internazionali nella Information Communication Technology, e nelle nanotecnologie.

La crisi ha svegliato dal torpore anche il Cnr: il ministro Tremonti gli vuole affidare il coordinamento di tutti i finanziamenti europei per la ricerca e il suo presidente, Luciano Maiani annuncia una nuova strategia, distaccata dai fondi pubblici, ma pronta a sviluppare sinergie con i privati per tradurre le scoperte e i brevetti in prodotti industriali.
Ci sono Regioni come il Piemonte che per rilanciare l’economia si tingono di verde finanziando la lotta allo smog, le energie rinnovabili, la trasformazione dei rifiuti in luce elettrica.

Quelli che abbiamo fatto sono alcuni degli esempi che testimoniano come la crisi possa mostrarsi anche con il volto dell’opportunità e portare alla ribalta «un’Italia che funziona anche se viene ignorata dai media», come stamani titola il Sole24Ore.
Ma guardare al bicchiere mezzo pieno, piuttosto che a quello mezzo vuoto non deve, però, impedirci di puntare il dito su quella parte di paese che, al contrario, intende perseverare nei suoi vizzi, incurante delle difficoltà del momento, ma anche dell’esperienza. Una parte di paese che dimostra infatti di voler ignorare i danni che ci procura all’estero l’incuria e l’incapacità di valorizzare i lati migliori dell’ Italia. Basta ricordare, a tale proposito la perdita di posizioni in campi dove eravamo leader incontrastati, come il turismo.

Candidature Olimpiadi 2020 ennesima figuraccia all'estero? Le candidature per le Olimpiadi del 2020 rischia infatti di diventare la nuova platea dove gli eterni protagonisti dell’autolesionismo italico si potranno esercitare nei prossimi mesi.
Ecco come si presenta la vicenda.
Ancora non si era spenta l’eco dell’assegnazione a Rio dei Giochi del 2016 che ai nastri di partenza, per quelli del 2020, si sono presentate due città italiane, Roma e Venezia.
Immediatamente si sono formati due schieramenti capeggiati da autorevoli uomini politici pronti a decantare le virtù della città per la quale fanno il tifo, ma altrettanto equipaggiati per gettare discredito sulla concorrente.
Poco importa che sia un film già visto, quando a contendersi l’ospitalità dei Giochi furono Milano e Roma. Poco importa che dell’esito di quel braccio di ferro strapaesano ancora ridono nel Comitato Internazionale Olimpico, nel ricordare che faccia fece la delegazione romana, scesa a Ginevra in pompa magna convinta di avere l’ assegnazione in tasca, quando vide uscire dalle urne il nome di Atene.
Lungi da noi la tentazione di entrare nel merito delle candidature di Roma e Venezia come città ospitanti dei giochi.
Ci preme invece ricordare, per restare nel tema «facciamoci riconoscere», un altro episodio di mala italianità.
In occasione dell’assegnazione a Milano dell’ Expò 2015 tutto fu preparato alla perfezione dagli organizzatori e a giochi fatti l’Italia intera brindò compatta. Insomma tutto bene, salvo il fatto che poi se ne sono andati quasi due anni in ripicche su chi dovesse gestire la cassa.
C’è un Italia che uscirà migliorata dalla crisi. C’è un’Italia che uscirà tale e quale.