29 marzo 2024
Aggiornato 11:00

Università, Fammoni (Cgil): da dati Almalaurea emerge necessità tutele

«Questo è un indice chiaro del nostro modello di sviluppo: basato sulla competizione di costo e non sull’innovazione di prodotto»

ROMA – «Dati chiari e significativi della necessità di tutele immediate, ma anche della necessità di programmare una uscita dalla crisi puntando su innovazione e ricerca per lo sviluppo». Così il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, commenta il rapporto 2009 del consorzio Almalaurea su occupazione e occupabilità dei laureati.

I dati annunciati oggi, osserva il dirigente sindacale, «un campione assolutamente unico in Italia per quantità e qualità meritano alcune prime considerazioni». Anzitutto, «nonostante l’aumento, il numero dei laureati nel nostro paese fra i giovani in età 25-34 anni è ancora decisamente inferiore agli altri paesi europei (17% contro 22 in Germania, 37 in Gran Bretagna e 41 in Francia) e si somma al ritardo accumulato negli anni e relativo alla popolazione più anziana (9% contro 16 in Francia, 23 in Gran Bretagna e Germania)».

Per Fammoni, «questo è un indice chiaro del nostro modello di sviluppo: basato sulla competizione di costo e non sull’innovazione di prodotto. Anche prima dell’esplosione della crisi infatti la domanda di capitale umano qualificato era molto più bassa rispetto all’Europa». La crisi economica però «accentua queste tendenze: nei primi due mesi del 2009 è calata di un quarto la richiesta di laureati da parte delle imprese. Si conferma un forte divario Nord Sud nel numero delle assunzioni e anche nelle retribuzioni, si conferma una forte penalizzazione per le donne». Di «particolare rilievo», inoltre, è anche la tipologia lavorativa: «il precariato diventa forma di accesso stabile al lavoro per i neo laureati solo per una minoranza (per oltre il 40% il lavoro è atipico, contro meno del 30% stabile) ma, e questo è significativo della tendenza, anche a 5 anni dalla laurea - conclude Fammoni - il tasso di occupazione rimane all’85% e solo il 70% di questi ha un lavoro stabile».