29 aprile 2024
Aggiornato 18:00
FATTI & MISFATTI

Perché l'Europa ci approva

Le difficoltà, è confermato anche da Bruxelles, non nascono in Italia ma oltreoceano e sono prima di natura finanziaria, poi industriale

La Commissione europea certifica la recessione che nel 2009 si abbatterà sul continente a seguito della crisi finanziaria nata negli Usa: «La situazione economica e la prospettiva rimangono eccezionalmente incerte mentre il mondo fronteggia la sua crisi peggiore dal tempo della seconda guerra mondiale». Queste le parole con cui il commissario agli Affari economici Joaquin Almunia accompagna il rapporto.

Crisi che non dipende dall’Italia. Le difficoltà, è confermato anche da Bruxelles, non nascono in Italia ma oltreoceano e sono prima di natura finanziaria, poi industriale. Ciò che vedremo quest’anno saranno le ricadute sull’economia reale, cioè sulle aziende, in termini di produzione e di occupazione. Esattamente come avevano detto già dalla campagna elettorale sia Berlusconi sia Tremonti.

Giusta la terapia del governo. La Commissione dà significativamente atto al nostro governo di aver messo in campo le misure giuste: «Il ministro Tremonti non ha bisogno dei miei consigli – ha aggiunto Almunia – ha bisogno che vista la situazione economica e delle finanze pubbliche in Italia è necessaria una combinazione equilibrata fra la prudenza e gli incentivi, combinazione che si ritrova nelle misure attuali». Ciò nonostante da sinistra continuano a partire polemiche insensate. Ieri Fabio Mussi, leader della Sinistra democratica, ha accusato Berlusconi di aver sottovalutato la crisi: e passi, l’economia non è il suo forte. Sorprende invece che gente come Bersani e Veltroni del Pd, che dovrebbero rappresentare i riformisti, insistano nel chiedere provvedimenti che, senza mitigare la crisi, manderebbero a picco i nostri conti pubblici.

L’Italia arretra in linea con gli altri. Secondo la Ue nel 2009 il Pil italiano, cioè il Prodotto interno lordo, cioè quanto il nostro Paese produce in termini di merci e servizi, si ridurrà come valore del 2%. Un po’ più dell’1,8 della Francia, quanto la Spagna e l’Olanda, meno della Germania (la «locomotiva tedesca» frenerà del 2,3%) in linea con gli altri.

Deficit pubblico in ordine. La giustezza della manovra del governo e certificata dalle previsioni sul deficit pubblico. Il nostro, secondo la Ue, sarà pari 3,8 del Pil, sforando dunque di qualche decimale di punto il tetto del 3% fissato dai parametri di Maastricht, esattamente come aveva concesso l’Europa per i prossimi due o tre anni. Peggio farà il complesso dei paesi di Eurolandia, con uno sforamento del 4%.
E molto peggio si troveranno Spagna (6,2%) e Francia (5,4), per non parlare dell’Irlanda (11%), e di paesi come la Grecia ed i nuovi entrati dell’Est europeo. Ma soprattutto andrà peggio alla Germania, che tra il 2009 e il 2010 avrà un deficit pari ad oltre il 4% del Pil, il più alto della sua storia. Tuttavia senza la crisi, come ha scritto ieri il Quaderno, avremmo un deficit strutturale ben dentro i parametri europei.

Saggezza e fiducia sul debito. Del resto con un debito pubblico record (la stima è il 109% del Pil), ereditato dagli anni di finanza facile, il governo ha il dovere di essere prudente. I primi segnali di risposta dai mercati si sono visti: le ultime aste dei Bot hanno registrato una domanda doppia dell’offerta pur con rendimenti ridotti. A differenza dei Bund tedeschi, considerati il top quanto a garanzie, la cui asta è andata in parte deserta. Che cosa significa? Che il mercato crede nella politica economica italiana e investe nei nostri titoli di Stato anche a rendimenti più bassi. Ciò consente al Tesoro di pagare meno interessi e di porre le basi per la riduzione del debito. E soprattutto, visto che a investire sono soprattutto le famiglie, fa sì che l’indebitamento resti in gran parte interno, esponendo in minore misura il Paese alle burrasche internazionali.

Disoccupazione: meglio degli altri. I senza lavoro «ufficiali» dovrebbero salire nel 2009 all’8,2%, un punto e mezzo in più rispetto al 2008. Meno della media europea (9,3% e 1,8 punti in più), e la metà rispetto, ad esempio, alla Spagna, che farà registrare oltre il 16% di disoccupati. Ma quello di Zapatero non era un modello per la sinistra? A Natale il premier spagnolo non aveva annunciato il sorpasso sull’Italia, per il giubilo dei progressisti nostrani?
Oggi le agenzie di rating hanno ridotto il giudizio sulla Spagna (e sulla Grecia), lasciando inalterata l’Italia: «Madrid si risveglia di colpo dal sogno Zapatero» commenta (perfino) Repubblica. Ad ogni modo, poiché il motto mal comune mezzo gaudio non si addice al nostro governo, sono pronte le misure straordinarie di sostegno per l’occupazione.
Tremonti ha proposto un piano da 8 miliardi tra ammortizzatori sociali e sussidi per far sì che chi si trova temporaneamente in difficoltà possa reinserirsi al più presto nel circuito produttivo appena verrà la ripresa. Diversa la ricetta della sinistra, che reclama detassazioni e sgravi in busta paga. In pratica tutelando chi è già al riparo a scapito di chi ha realmente bisogno: disoccupati, precari, anziani, artigiani e piccoli imprenditori.

Crisi intensa ma breve. L’Unione europea certifica un’altra previsione del nostro governo. La crisi sarà intensa ma non paragonabile ad altri disastri epocali che si sono abbattuti sull’economia. Già nel 2010 si vedranno gli effetti della ripresa: il Pil tornerà a crescere, almeno dello 0,3%, e sarà la prima volta dopo tanti mesi che si vedrà un segno più. Nessun raffronto possibile, dunque, con le grandi recessioni del passato, tanto meno con quella del ’29, che durò un decennio. Anche perché tra meno di un anno l’Italia dovrebbe uscirne con minori danni degli altri, grazie a un sistema finanziario meno esposto, a un sistema produttivo manifatturiero e sparso sul territorio, e soprattutto grazie «alla prudenza e alla giusta combinazione delle misure del governo». Parole della Commissione europea.

Che cosa accadrà nei prossimi mesi. Le statistiche tuttavia, anche se in molti casi meno negative rispetto ad altri, non danno da mangiare a nessuno. Che cosa attendersi dunque, e che cosa fare? Come ha ricordato Tremonti, una riduzione del 2% della ricchezza prodotta «non sarebbe il Medioevo. Torneremmo al livello del 2006». Questo va sempre tenuto presente per non abbandonarsi ad eccessi di catastrofismo. Quanto ai parametri del deficit e del debito, sono importanti per i conti pubblici ma non incidono in maniera diretta sulla vita delle famiglie. Assai più rilevanti sono le cifre sulla disoccupazione e sul credito. E le conseguenti misure messe in campo dal governo. I disoccupati aumenteranno, meno che altrove appunto, ma almeno temporaneamente aumenteranno. Per loro ci sono gli interventi di sostegno già approvati (2 miliardi di ammortizzatori sociali) e in via di approvazione (altri 8 miliardi). Si tratta complessivamente del pacchetto di aiuto diretto a chi è in difficoltà più forte messo in atto da un governo europeo, e mai attuato in Italia. Quanto al credito, il governo aveva promesso che si sarebbero aiutati i risparmiatori, non le banche o i banchieri. Così finora è stato; a differenza, per esempio, dell’Inghilterra, dove il governo ha dovuto provvedere all’ennesimo salvataggio della Royal Bank of Scotland. Torniamo a noi. I tassi d’interesse si stanno rapidamente abbassando con benefici tangibili per mutui e prestiti. Ciò grazie alle riduzioni del tasso centrale decise dalla Bce e della liquidità messa dal governo a disposizione delle banche: «a disposizione» significa che le banche devono ricorrervi non gratis per loro, ma a beneficio di risparmiatori e imprese.

Italia all’avanguardia contro la cattiva finanza. Il piano del governo presentato a Washington ha anche incontrato il favore della nuova amministrazione Usa, oltre ad aver riscosso il plauso dell’Unione europea. Le successive misure, oltre a quanto fatto finora, prevedono l’utilizzo dei fondi europei per il sostegno ai disoccupati e ai disagiati, il ricorso all’enorme tesoro custodito dalla Cassa depositi e prestiti (90 miliardi di euro, in gran parte proveniente dal risparmio postale) per far partire le infrastrutture, e di un’azione congiunta con i big della Terra per concentrare i titoli «tossici» in una «bad bank» mondiale, una gigantesca pattumiera dove non possano più nuocere. Dove, attraverso i meccanismi della finanza, possano addirittura essere riutilizzati anche per ricreare ricchezza, avvertendo però che si sta maneggiando materiale ad alto rischio. Sarebbe una gigantesca operazione di pulizia, una separazione tra la finanza buona e quella a rischio che farebbe ripartire l’economia mondiale. E che soprattutto metterebbe al riparo da altri contagi.