2 maggio 2024
Aggiornato 13:30
Lavoro

Quando l’Inps richiede la restituzione dell’indebito, anche per suo errore

Su tale Istituto grava comunque l’onere di dimostrare il trattamento previdenziale illegittimo e gli elementi costitutivi della pretesa

Sede INPS
Sede INPS Foto: ANSA

Con sentenza del 1° dicembre 2008, n. 28516, la Sezione lavoro della suprema Corte di Cassazione ha stabilito che se l’Inps richiede la restituzione dell’indebito, anche per suo errore, e l’assicurato impugna l’atto di richiesta di restituzione dell’indebito in tribunale - chiedendo che sia negata la sussistenza dell’indebito – su tale Istituto grava comunque l’onere di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa.
Per tale indebito contributivo la suprema Corte di Cassazione ha chiarito che «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento».
Con tale sentenza è stato quindi negato all’Inps il ricorso che presupponeva che l’onere della prova fosse a carico all’assicurato, che pure aveva agito in giudizio contro l’inps.

Fatto e diritto

Una dipendente ricorreva alla Corte di Appello contro la sentenza con la quale il Tribunale aveva respinto la domanda da lei proposta al fine di negare la sussistenza dell'indebito previdenziale rivendicato dall'INPS, ritenendo che la somma da esso richiesta le fosse stata indebitamente elargita e che fosse stata correttamente applicata la disciplina di cui alle leggi al riguardo vigenti.
La stessa dipendente aveva dedotto tra l'altro che l'INPS non aveva dato adeguata dimostrazione della effettività dell'indebito in presenza di una specifica ed espressa contestazione da parte sua.
La Corte d’Appello aveva comunque riconosciuto che la normativa vigente in tema di ripetizione di indebito era stata correttamente applicata dal primo giudice, ma che tuttavia l'assicurata, cui era stata inviata in via stragiudiziale una richiesta di restituzione di somme asseritamene corrisposte senza titolo, aveva espressamente contestato in radice la stessa validità del provvedimento, deducendo che la sua genericità non le aveva consentito di individuare gli effettivi termini dell'obbligazione restitutoria.
Dunque la setyessa Corte di Appello aveva trovato eccessivamente gravoso addossare alla dipendente l'onere della prova peraltro richiesta dalla stessa dipendente che aveva l'onere di dimostrare gli elementi costitutivi della sua pretesa.
Ed avendo riscontrato che, in effetti, nel provvedimento emesso in via amministrativa l'Inps non aveva dedotto, né dimostrato perché la somma richiesta dovesse ritenersi indebitamente elargita, ha accolto l'appello, dichiarando la irripetibilità dell'indebito.
Contro tale sentenza l'INPS ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Per la Corte di Cassazione è indubbio che nell'indebito oggettivo, previsto dall'art. 2033 cod. civ., costituisce elemento della fattispecie costitutiva del diritto alla ripetizione non solo l'avvenuta esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi, cioè l'inesistenza del vincolo giuridico idoneo a giustificarlo o il successivo venir meno della causa debendi.
Sul piano processuale ne deriverebbe l'esigenza che l'attore in ripetizione indichi tempestivamente, con la specificazione richiesta dalle circostanze, le ragioni per le quali il pagamento è qualificabile come indebito, ragioni che concorrono ad integrare la causa petendi, e che debba provvedere alla prova delle relative circostanze.
Né vi è ragione di ritenere non applicabili tali principi di carattere generale nella materia previdenziale.
Sulla materia l'orientamento giurisprudenziale dominante si collega a opinioni autorevolmente sostenute in sede dottrinale già nella vigenza del codice di procedura civile del 1865, sul presupposto del rilievo preminente svolto in materia di onere della prova dalla posizione processuale delle parti e della esistenza di un onere più ampio, c.d. primario, a carico dell'attore.
Si è anche ritenuto che l'attribuzione in ogni caso dell'onere della prova all'attore in accertamento negativo costituisca una sorta di necessario contrappeso alla ritenuta ammissibilità delle azioni di accertamento, la cui proposizione altrimenti potrebbe mettere in difficoltà la difesa del convenuto (o comunque vessarlo).
Peraltro l’art. 2697 c.c., dispone che «chi vuol far valere un diritto in giudizio» - implica che sia colui che prende l'iniziativa di introdurre il giudizio ad essere gravato dell'onere di «provare i fatti che ne costituiscono il fondamento» contrasta innanzitutto con la stessa lettera della disposizione, poiché l'attore in accertamento negativo non fa valere il diritto oggetto dell'accertamento giudiziale ma al contrario ne postula l'inesistenza, ed è invece il convenuto che virtualmente o concretamente fa valere tale diritto, essendo la parte controinteressata rispetto all'azione di accertamento negativo.
Una considerazione complessiva delle regole di distribuzione dell'onere della prova di cui ai due commi dell'art. 2967 c.c. (che, come osservato in dottrina, può essere considerato specificazione del più generale principio secondo cui l'onere della prova deve gravare sulla parte che invoca le conseguenze per lei favorevoli previste dalla norma), conferma che esse sono fondate non già sulla posizione della parte nel processo, ma sul criterio di natura sostanziale relativo al tipo di efficacia, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all'interesse delle parti, dei fatti incidenti sul medesimo.
Quindi per la Corte di Cassazione -sulla base delle osservazioni che precedono in ordine all’onere della prova nelle azioni di accertamento negativo e in quelle di ripetizione dell'indebito, risulta quindi confermata l'infondatezza del ricorso dell'Inps.

Corte di Cassazione - Sezione lavoro - sentenza 1 dicembre 2008, n. 28516