24 aprile 2024
Aggiornato 20:00

Lettera aperta di Luca Squeri, (Figisc) a Catricalà

«Avendo avuto modo di leggere i contenuti della Sua audizione alla Commissione industria del Senato, non posso esimermi dal puntualizzare su alcuni aspetti particolari e dallo svolgere alcune considerazioni più generali»

Avendo avuto modo di leggere i contenuti della Sua audizione alla Commissione industria del Senato, non posso esimermi dal puntualizzare su alcuni aspetti particolari e dallo svolgere alcune considerazioni più generali.

In primo luogo, se »l’indicatore classico dell'arretratezza competitiva del sistema di distribuzione di carburante nazionale rispetto a quello dei principali paesi dell'Unione Europea» è rappresentato dal divario tra il prezzo industriale italiano e quello medio europeo (quello che i tecnici chiamano «stacco Italia»), sarà bene attenersi ai numeri veri: la media tra agosto 2007 ed ottobre 2008 del confronto con i Paesi dell’area valutaria euro si attesta su 2,6 eurocent/litro per la benzina e 2,8 per il gasolio, valori ben lontani dai 4 o 5 centesimi di cui si suole parlare per enfatizzarne la significatività.

A fronte ed in contropartita di questo «divario», la rete distributiva nazio-nale ha caratteristiche di capillarità e presidio al territorio ed al cittadino che non sono nemmeno lontanamente riscontrabili in altri Paesi, spesso ed a spro-posito assunti a «modello»: in Italia c’è un impianto di distribuzione ogni 13,4 kmq, contro i 23,7 della Germania, i 25,8 del Regno Unito o addirittura i 41,8 kmq della Francia; è questo un valore aggiunto che trascende il suo limitato costo aggiuntivo sul prezzo finale. Forse sono troppi gli impianti in Italia, ma è difficile contestare che in altri Paesi, invece, sono troppo pochi, specie laddove (come in Francia) la grande distribuzione ha desertificato del servizio le aree ri-tenute commercialmente marginali e scarsamente appetibili per la sua stra-tegia di penetrazione nel settore (circa il 57 % del mercato delle vendite).

Un altro dato reale che vale la pena di sottolineare – dal momento che altri non lo faranno di certo - è che il prezzo industriale nazionale della ben-zina, nella media del mese di ottobre, si colloca al nono posto in ordine decre-scente nei 27 Paesi della Comunità (cioè vi sono otto Paesi che hanno un prez-zo industriale più alto del nostro) ed al decimo per il prezzo industriale del ga-solio.

Un ulteriore commento va riservato a quella che sembra una reiterata rappresentazione semplicistica, «da tavolino» e strumentale di quella che è la realtà della rete italiana: l’assenza della concorrenza. La realtà ci dice, invece, che in Italia esiste un prezzo diverso mediamente ogni due impianti, con un range di oscillazione che arriva anche all’ordine degli 8, 10 eurocent/litro, e che questa varietà non è solo data dalle così dette «pompe bianche» degli operatori indipendenti o degli outsider della GDO, ma da una vera competizione diffusa ed articolata nel territorio dell’intero complesso della rete, che è ancora in grandissima maggioranza una rete «colorata» delle majors dell’industria petro-lifera e dei retisti convenzionati.

Ma se queste sono ancora solo doverose puntualizzazioni su stereotipi ri-correnti, assai più preoccupante è il riferimento a «centri di interesse e di pres-sione contrari ad una piena liberalizzazione dell’accesso e dello svolgimento dell’attività di distribuzione carburanti» che potrebbero «trovare minori resi-stenze a livello locale rispetto al livello centrale», laddove Ella accusa espli-citamente alcune Regioni, di voler reintrodurre, attraverso l’intervento legisla-tivo sul settore, freni e rallentamenti al processo di liberalizzazione.

Ancorché assunta nello svolgimento del ruolo istituzionale rappresentato, si tratta di un’entrata in gioco pesante, che destabilizza il lavoro già fatto delle Regioni e quello che rimane ancora da fare per applicare le norme nazionali esercitando, nel contempo, una governance sull’ammodernamento e la quali-ficazione della rete.

Un’entrata in gioco che, traducendosi, forse involontariamente, in un au-tentico spot a beneficio della Grande Distribuzione (e non è questo, forse, un potente «centro di interesse» ?), non esita a qualificare contenuti importanti in materia di tutela ambientale, di riqualificazione dei consumi di carburanti eco-compatibili e di arricchimento dell’offerta della rete, come semplice acquie-scenza ai «centri di interesse» che resistono alla liberalizzazione, rintuzzando le tentazioni dei veri centri di interesse ad opporsi, magari in sede comunitaria, alle nuove normative regionali.

Ricordiamo tutti come è nata la procedura di infrazione della Com-missione Europea: gruppi della GDO italiani o da tempo presenti in Italia hanno adito la Comunità con il chiaro intento di accaparrarsi un mercato di consumi che vale in Italia 40 miliardi di euro all’anno. E questi pochi, ma fortissimi in-teressi economici hanno trovato udienza e comprensione nelle pieghe del di-ritto comunitario e delle interpretazioni di una èlite di euro-tecnoburocrati che governano ed appiattiscono, fino al de minimis, una comunità di 27 Paesi e quasi mezzo miliardo di cittadini, con storie, culture, economie e peculiarità di-versissime. Altro che Europa dei Popoli.

Tuttavia, pur nelle nostre riserve critiche c’è qualcosa che volentieri sot-toscriviamo nella Sua analisi, egregio Presidente, ed è esattamente laddove El-la osserva che gli «operatori della Grande Distribuzione Organizzata…utilizzano i carburanti come beni ‘civetta’ per attirare i consumatori presso i loro centri commerciali». Noi stessi non avremmo saputo dire di meglio per chiarire, so-prattutto al Consumatore quale è – al di là dei vari paraventi – l’autentica posta in gioco di questa lunga e complessa partita.