Milan: non è soltanto una questione di mira
Tanti tiri e pochi gol: la squadra di Pioli fa i conti con le solite lacune realizzative

Nel post Parma-Milan Stefano Pioli è stato chiaro: «Non possiamo fare solamente un gol a fronte di 27 tiri». Aggiungiamo noi: un gol frutto di rimpallo, al minuto 88 e siglato da un terzino, Theo Hernandez, che per di più è anche il capocannoniere della squadra con 3 reti all’attivo, le stesse di Piatek che per inciso fa il centravanti e che due di questi gol li ha siglati su rigore. Più in generale, la squadra rossonera ha messo a segno 13 marcature in 14 giornate di campionato, una media gol da zona retrocessione, uno dei principali problemi con cui deve fare i conti l’allenatore milanista, chiamato ad un’inversione di rotta nella seconda parte di stagione.
Lacune
Il Milan di Parma ha certamente mostrato segnali di miglioramento: i rossoneri sono apparsi più compatti, più grintosi e soprattutto più pimpanti negli ultimi sedici metri. I già citati 27 tiri verso lo specchio della porta parmense difeso da Sepe possono però essere una fonte ingannevole per definire la formazione di Pioli uscita dal suo disastroso avvio di annata: di queste numerose conclusioni, infatti, troppo poche sono risultate pericolose, ancor meno dirette verso il portiere. Piatek nel primo tempo ha battuto da posizione defilata muovendo appena l’esterno della rete, poi ha solamente sparato a salve, così come Calhanoglu e Kessie le cui conclusioni sono finite a distanze siderali dalla porta.
Imprecisione e non solo
Questione di mira, dunque? In realtà, ciò è vero soltanto in parte anche se le cifre fanno rabbrividire: Calhanoglu, ad esempio, ha concluso 43 volte centrando lo specchio in appena 16 occasioni, ma i deprimenti numeri dell’attacco milanista non possono spiegarsi solamente con l’imprecisione degli attaccanti. Se Suso ha finora realizzato appena una rete (peraltro su calcio di punizione), se Calhanoglu non è propriamente un bomber, se Rafael Leao vede la porta con estrema rarità, se Rebic non è ancora pervenuto nei radar rossoneri e se la crisi di Piatek coinvolge più l’aspetto psicologico che quello tecnico, una spiegazione più articolata deve per forza esserci. Il lavoro di Pioli non appare semplice e, aspettando sempre Ibrahimovic, la squadra deve incamerare più vittorie possibili sino a gennaio e per farlo occorre buttarla dentro.
Soluzioni
Tanto per cominciare, lo schieramento tattico: al di là dei numeri, infatti, il Milan nelle ultime partite del 2019 dovrà mantenere lo stesso atteggiamento adottato a Parma, ottimizzando le occasioni, dimezzando anche le conclusioni in porta ma concretizzando di più; i rossoneri spesso e volentieri portano troppo palla, si avvicinano all’area avversaria in massa ma a conti fatti risultano prevedibili. Detto poi che Piatek deve ritrovare al più presto la vena realizzativa dell’anno scorso e che Leao dovrebbe guardare più filmati di Weah che di Niang, l’ipotesi del tiro dai 20-25 metri è tutt’altro che da scartare: gente come Calhanoglu, Suso e Bonaventura hanno nei piedi qualità balistiche non indifferenti, motivo per il quale, alla bisogna, non è una bestemmia cercare la soluzione dalla distanza, come non lo era in passato per Ancelotti, Albertini o Pirlo, allo stesso modo non lo sarebbe per loro. Aspettando svolte sul mercato, in fondo, le partite si possono vincere anche così.
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