29 marzo 2024
Aggiornato 10:30
Psicologia

Dipendenza da Facebook e Videogame: riconoscerla e curarla

Bambini, giovani e adulti. Tutti possono essere soggetti dalla dipendenza da videogame. Ma gli effetti possono essere anche gravi dalla dispercezione della realtà ai problemi del ritmo sonno veglia.

Le reti sociali su Internet rappresentano un prolungamento delle relazioni sociali che avvengono nella vista reale – spiega Maurizio Crivellaro, psicologo e psicoterapeuta a Torino. Infatti ci permette di contattare amici, anche di vecchia data, di scambiare interessi e informazioni.

Una paradisiaca fuga dalla realtà
«Facebook, alla stregua dei giochi elettronici, utilizzati in modo incongruo possono, nel tempo, determinare degli aspetti patologici. Bisogna considerare che internet non fornisce solo una paradisiaca fuga dalla realtà, ma anche uno stato che permette di superare i limiti personali o spazio temporali. Questo, ovviamente, permette al soggetto anche di avere un senso di onnipotenza: per esempio la persona è reperibile costantemente. Per il soggetto patologico l’altro costituisce un oggetto della propria attività ma non viene vissuto come una controparte in cui si vive un rapporto di reciprocità».

Un controllo sulle proprie emozioni
«L’utilizzo spropositato di questi social network piuttosto che dei videogame, è accompagnata da processi di dipendenza. Teniamo conto che le persone in interazione virtuale sono schermate da un video e che ovviamente imita totalmente il senso della comunicazione non verbale. Questa situazione dà l’illusione ai soggetti di avere un controllo sulle proprie emozioni».

Dalla dipendenza alle alterazioni del ritmo sonno veglia
«In situazioni gravi, addirittura si ha la sensazione di non percepire più emozioni. Questo determina una dispersione della propria identità, una dispercezione della realtà e altri sintomi legati ad astinenza, distorsione del ritmo sonno/veglia, attacchi di rabbia. Anche in questo caso conviene fare un buon utilizzo dell’esperto che può aiutare il soggetto a mettersi in contatto con queste emozioni, riconoscerle e, nel tempo, nominarle e modularle. Questo lavoro si può fare individualmente o in situazioni di gruppo. In alcuni casi può anche chiedere la collaborazione con la famiglia», conclude il dottor Crivellaro.